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Città del Vaticano - «Se volete sparare alla folla, allora sparate prima a me». Collegata con Roma dal suo convento in Myanmar, la suora coraggio che si è inginocchiata davanti ai poliziotti che stavano uccidendo i manifestanti, Ann Rose Nu Twang ha raccontato quei momenti carichi di tensione. La voce che sembra un soffio non tradisce la determinazione e il coraggio. Il suo volto ha fatto il giro del mondo e l'immagine di questa mite religiosa inerme davanti a tanta brutalità ha fatto capire all'opinione pubblica mondiale cosa sta accadendo in quella zona del mondo dove è in atto un colpo di Stato.
All'incontro via webinar organizzato dalla casa editrice Emi la religiosa ha spiegato di essere stata mossa da un senso di giustizia. «Da più di un mese il nostro popolo sta soffrendo: mentre a causa del coronavirus la gente si trovava già in difficoltà legate al lavoro si è verificato il cambio politico e il popolo ha iniziato a manifestare».
Ecco la sua testimonianza: «Sotto la nostra clinica erano scesi in strada i manifestanti per far conoscere i loro desideri in modo pacifico; mentre passavano sotto le nostre finestre io stavo curando dei malati nella clinica anche perchè gli ospedali statali erano chiusi per via della situazione politica.
A favore della libertà in Birmania è intervenuta anche Albertina Soliani, già senatrice e oggi Presidente Istituto Alcide Cervi, già Presidente Associazione Parlamentare Amici della Birmania. Con una lettera inviata al presidente Mattarella, e alle massime cariche dello Stato ha ripercorso i fatti che il 1 febbraio hanno portato al copo di stato in Myanmar da parte dell’Esercito, facendo arrestare il Presidente della Repubblica U Win Myint, la Consigliera di Stato e Ministro degli Esteri Aung San Suu Kyi, centinaia di dirigenti del suo partito, la Lega Nazionale per la Democrazia, attivisti, giornalisti, artisti, cittadini, donne, uomini, ragazzi.
«Il popolo continua a manifestare la sua contrarietà al golpe con una coraggiosa disobbedienza civile (Civil Disobedience Movement), molte decine ormai sono le vittime della violenta repressione militare, di indicibile disumanità» ha scritto.
Dal 1 febbraio non si sa nulla di Aung San Suu Kyi, né dove si trovi agli arresti, né quale sia la sua condizione. Nessuno può vederla, nemmeno il suo avvocato. E’ comparsa due volte in un video all’udienza davanti al giudice.
«Aung San Suu Kyi è il suo popolo. Non possiamo assistere alla sua scomparsa, in totale violazione del diritto nazionale e internazionale e dei diritti umani, senza reagire».
«L’Italia si faccia promotrice di una concreta azione per la liberazione di Aung San Suu Kyi, determinante per l’apertura di una fase di dialogo, di riconciliazione e di pace nel Paese».
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Il Mattino