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Mafia viterbese, l’impianto resiste ma escono di scena due protagonisti. La sentenza d’appello non ha solamente confermato l’esistenza di un’associazione di stampo mafioso a Viterbo ma ha scagionato completamente Martina Guadagno. La dipendente di Giuseppe Trovato era rimasta implicata nel giro e ha già scontato la pena che gli era stata inflitta in primo grado. Arrestata con l’accusa di essere parte della banda, in primo grado viene condannata a 2 anni e 4 mesi (che ha già scontato interamente) per favoreggiamento. In secondo grado la viterbese ne esce assolta completamente «perché il fatto non sussiste». Il suo avvocato sarebbe già pronto a chiedere i danni per ingiusta detenzione.
Migliora nettamente anche la posizione di Luigi Forieri.
Non cambia invece la posizione dei capi, Giuseppe Trovato e Ismail Rebeshi, a cui la Corte d’Appello ha scontato giusto qualche mese di reclusione. I due capi restano ristretti al 41 bis in attesa che i difensori facciano le loro mosse. «Rispetto il pronunciamento - ha affermato l’avvocato di Trovato, Giuseppe Di Renzo -, ma non condivido i contenuti. Per questa ragione presenterò ricorso in Cassazione. Continuo a ritenere che l’aver confermato la sentenza di primo grado, in ordine all’associazione di stampo mafioso, sia un fuor d’opera e che le intercettazioni siano inutilizzabili per ragioni processuali. Ne sono fermamente convinto». Pronto a dare battaglia anche l’avvocato Roberto Afeltra, difensore di Ismail Rebeshi. «La sentenza - ha detto - è parzialmente contraddittoria. Non si capisce perché il mio assistito viene assolto per alcuni reati, ma condannato per altri che riguardano lo stesso fatto. Tra l’altro come era già accaduto in primo grado. Ma l’aspetto fondamentale è che 60 reati, di questi 90% aggravati metodo mafioso, a Rebeshi ne contestano solo 25, come fa rispondere associazione a delinquere? Ovviamente presenteremo ricorso in Cassazione». Le motivazioni della sentenza arriveranno solo tra tre mesi.
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