Campania. Dossier sui misteri del convento. L'accusa: «Suore firmavano voti di obbedienza col sangue»

Campania. Dossier sui misteri del convento. L'accusa: «Suore firmavano voti di obbedienza col sangue»
di Loredana Zarrella
Martedì 16 Giugno 2015, 09:02 - Ultimo agg. 13:04
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Frigento. Suore costrette a sottoscrivere col sangue voti di obbedienza ai fondatori; consorelle costrette a subire molestie e a consumare solo cibi scaduti, nonostante i lauti proventi dei benefattori; vocazioni forzate e confessioni sacramentali utilizzate come mezzo di ricatto. Sono alcuni degli elementi presenti nel nuovo e corposo dossier inviato alla Procura della Repubblica di Avellino che sulla vicenda dell'Istituto dei Frati Francescani dell'Immacolata ha aperto un fascicolo. L'istituto è già stato commissariato dalla Santa Sede nel 2013 e, dal marzo scorso, è finito sotto i riflettori delle Fiamme Gialle per i reati contestati di truffa aggravata e falso ideologico. I nuovi documenti sono stati depositati da Giuseppe Sarno, l'avvocato che nello scorso settembre, nell'interesse dei nuovi vertici della Congregazione, aveva sporto querela-denuncia segnalando le presunte irregolarità nella gestione dei patrimoni e avviato così le indagini congiunte da parte della Procura e della Finanza.

Con le carte appena consegnate un nuovo scenario, fatto di presunti abusi, atti di libidine e prevaricazioni attuate dal fondatore Padre Stefano Maria Manelli, viene a sovrapporsi a quel mondo sommerso di ingenti movimenti di denaro, e di beni mobili e immobili che sarebbero stati affidati illecitamente a laici, su cui sono puntati i riflettori degli inquirenti. Si parla di fanatismo, culto idolatrico verso il fondatore della Comunità e dei suoi presunti atteggiamenti autoritari, possessivi e narcisisti, volti al controllo assoluto e incondizionato di frati e suore, molti di cui stranieri, nel convento di Frigento e negli altri sparsi in tutta la Penisola.



Pesantissime e inquietanti le accuse a lui rivolte dalle decine di suore ed ex-religiose soprattutto, uscite fuori dall'Istituto per le vessazioni, i ricatti e le mortificazioni subite, a partire da quel patto di fedeltà assoluta che erano costrette a vergare con il sangue dei polpastrelli punti con un ago, secondo un rito settario che confermerebbe la sete di potere e di esaltazione del frate, ora rifugiato a San Giovanni Rotondo in un convento di suore.



Le numerose testimonianze, depositate presso la Santa Sede già a partire dal 1998, coprono venti anni circa di «terrorismo psicologico, di ossessività con cui le suore vicine al fondatore insistevano affinché i soggetti indicati, attraverso una presunta profezia, da Manelli, entrassero in convento». Oltre ai tanti racconti di «vocazioni forzate e di confessioni sacramentali utilizzate come mezzo di calunnia e ricatto», dagli atti emerge pure lo stato di miseria in cui vessavano le suore, diventate cieche o malate a seguito di una cattiva alimentazione. Eppure, enorme era il giro di soldi all'interno dell'Istituto, si racconta. Mistero anche sulla destinazione della beneficenza per le missioni, visto che in Africa e in Brasile le ex religiose raccontano di stenti mentre il denaro tornava indietro in Italia.



Dove sono finiti i milioni di vecchie lire che ogni giorno le suore, mandate in giro per tutto il centro-sud, riuscivano a racimolare? I nuovi vertici dell'Istituto, di nomina vaticana, si battono da tempo per far chiarezza.



Gli inquirenti dovranno far luce pure sulla vicenda di Adriana Pallotti, la 98enne di San Giovanni Rotondo che ha denunciato il raggiro di Padre Manelli e Padre Pellettieri. L'anziana sarebbe stata convinta da questi a cambiare lo statuto della Onlus da lei costituita nel 2006, la «Fondazione della Divina Volontà di Adriana Pallotti», con il fine ultimo, a lei nascosto, di sciogliere l'Organizzazione non lucrativa per devolvere tutto il suo patrimonio all' «Associazione Missione dell'Immacolata» di Frigento, già indagata insieme all'«Associazione Missione del Cuore Immacolato», per la titolarità, a quanto pare illecita, di beni mobili e immobili, nonché per le disponibilità finanziarie, per un valore di 30milioni di euro, ora sotto sequestro preventivo.



La nuova denuncia, che arriva dalla Puglia, parla di 1,5 milione di euro, tra beni mobili e immobili, compreso lo stabile in cui abita la signora, costretta a difendersi per via legale dopo che le era stato intimato lo sfratto.
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