La sfida di Maddaloni a Scampia in una storia per ragazzi di judo e camorra

La sfida di Maddaloni a Scampia in una storia per ragazzi di judo e camorra
di Donatella Trotta
Sabato 22 Marzo 2014, 15:12 - Ultimo agg. 8 Ottobre, 18:13
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Il bivio delle scelte radicali, quelle che ti trasformano per sempre. E la forza del destino che non mai ineluttabile, se si decide di combattere per il cambiamento in meglio lungo “la via della cedevolezza”: alzandosi dopo ogni caduta e continuando a camminare con coraggio, perseveranza, umilt e altruismo sulla propria strada. sapientemente costruita su questi due pilastri principali l’architettura del nuovo avvincente romanzo di formazione per ragazzi di Luigi Garlando,"‘O Mae’. Storia di judo e di camorra" (Piemme, pagg. 256, euro 16), in libreria da marted. L’autore lo presenterà in anteprima alla Fiera internazionale del libro per ragazzi di Bologna incontrando le scuole mercoledì 26 marzo alle ore 10,30 nel Padiglione 33, inedito incubatore di oltre cento eventi e mille illustrazioni da tutto il mondo che arrichiscono la 51esima edizione dell’atteso appuntamento fieristico (24-27 marzo).



A ispirare l’autore, la storia vera di Gianni Maddaloni, il generoso maestro di judo (al quale ha dato di recente il volto Beppe Fiorello nel film per Raiuno L’oro di Scampia, diretto da Marco Pontecorvo), padre del campione mondiale Pino e titolare della palestra Star Judo Club, presidio gratuito di allenamento alla vita e alla disciplina delle arti marziali nel cuore di Scampia che, sottolinea con sarcasmo Filippo, il protagonista 14enne del libro di Garlando, viene considerata dalla maggior parte dei media solo «la Disneyland dello schifo», area di spaccio per cinici «venditori di sogni» e «zombie delle Vele che si ammazzano di sogni», fasulli come i fiumi di denaro illecitamente e troppo facilmente “guadagnato”.



Filippo è un pluriripetente arrabbiato, impulsivo e sensibile, con la tendenza a infiammarsi colpendo a testate i suoi avversari, e un talento precoce e naturale per la musica soffocato dal suo ruolo di scippatore e sentinella per i pusher delle Vele. Figlio “d’arte” del «Falco» - un tempo potente ma da sette anni nel carcere duro, mentre la moglie si macera a casa tra mal di testa perenni e tv spazzatura – e fratello di Carmine il «Ninja», noto anche come «’o Convincente» per la sua abilità nel racket che lo ha reso braccio destro dal boss di zona Toni Hollywood, Filippo è molto legato allo zio fornaio, detto Bianco per via della farina e del fatto che è «buono come il pane». E sarà proprio lo zio a portarlo per la prima volta nella palestra di judo dei Maddaloni, un “clan” virtuoso (popolato, nel libro, di figure indimenticabili: Omero il cieco, Ginevra la rossa figlia del maestro di musica Raul Ponzoni, Habib il migrante e tanti altri) contrapposto, nel quartiere, ai clan malavitosi.



È l’inizio, per il ragazzo, di un conflittuale percorso di crescita ricco di colpi di scena, tragedie, scacchi e successi che qui non riveleremo. E nel quale lo spirito del judo, “via della cedevolezza” utile a tutelare e diffondere valori che non sono princìpi astratti, diventa con forza il basso continuo nella melodia del testo.



Garlando, classe ’62, è giornalista della «Gazzetta dello Sport» e scrittore fecondo di oltre 80 titoli per ragazzi e adulti con una spiccata propensione per temi sociali di forte attualità, che ben si prestano a "crossover" sullo schermo (basti pensare al suo romanzo "Per questo mi chiamo Giovanni", omaggio a Falcone che ha poi ispirato il film documentario Io ricordo, prodotto da Indiana Production). Qui è stato molto attento a evitare la retorica della legalità, la superficialità dei luoghi comuni, la dittatura del “messaggio positivo” e la tentazione di stucchevoli pedagogismi, in una (bella) storia di riscatto. Un riscatto raccontato con ironia da una lingua fluida, di forte impatto visivo, costellata ad arte di inserti dialettali e gergalismi nipponici dei judoka.



L’esito è una lettura appassionante, quanto mai opportuna per parlare in modo diverso ai più giovani di camorra attraverso l’intransigenza dello sport, le emozioni dei libri («che fanno sognare senza ucciderti», riflette Filippo, sedotto sulla via dell’Iliade come metafora della guerra di Scampia e del vecchio pescatore di Hemingway), la bellezza della musica e l’energia delle relazioni autentiche. Perché nelle scuole di Napoli (e non solo) sono tanti, troppi i Filippo in bilico sull’abisso e le scorciatoie del “Sistema” e la strada spesso nascosta e faticosa dell’onestà. Ragazzi assetati di accoglienza. Senso di appartenenza. Persino regole condivise, che non obbediscano però alla legge del più forte ma alla legge e basta. Ragazzi in cerca di identità, ma anche di visioni di futuro illuminate dal principio speranza, capace di cambiare il corso segnato di un destino che può sembrare ineluttabile.



Perché, come Filippo, questi ragazzi sono devianti per scarsità non tanto o non soltanto di padri e maestri, quanto di testimoni, in un’epoca di passioni tristi. E se «legalità», in certe zone, può allora essere una parola vuota, persino irritante, o in molti casi morta - come un sepolcro imbiancato che ne conserva il cadavere, consumato dall’abuso di ipocrisia politico-mediatica - Filippo ce ne spiega il motivo, con sarcasmo: «A scuola ci riempivano la testa con la legalità. I prof ce l’avevano sempre in bocca come una mentina. Per me deriva dalla parola “legare”: metti il casco, non fare questo, non far quello… a dar retta a loro, non ti muovevi più». Ma alla fine anche lui impara dal "sensei" Gianni, ‘o Maè - anche attraverso l’amicizia con Omero, atleta cieco e aspirante avvocato, e al motto del judo «io e gli altri insieme per progredire» - a guardare la realtà con occhi diversi.



Ci sono tanti modi di raccontare la camorra ai più giovani. Garlando ha scelto quello più efficace. Convincente. E concreto. Evocato dall’immagine simbolica della cedevolezza dei salici: che flettono i loro rami sottili sotto il peso della neve per evitare che si spezzino, come quelli della più forte quercia.
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