Il racconto choc di un architetto di Beirut: «Catastrofe mondiale, siamo a pezzi»

Mahomud Tosson Il racconto choc di un architetto di Beirut: «Catastrofe mondiale, siamo a pezzi»
Mahomud Tosson Il racconto choc di un architetto di Beirut: «Catastrofe mondiale, siamo a pezzi»
di Teodora Poeta
Giovedì 6 Agosto 2020, 10:33 - Ultimo agg. 10:48
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 Se non è la guerra, è qualcosa di molto simile. Le scene che arrivano da Beirut sono raccapriccianti. Il porto della città completamente distrutto così come interi quartieri e addirittura gli ospedali. Al momento si stanno ancora accertando il numero esatto di morti e feriti. «E’ una catastrofe mondiale». Incollato al computer ormai da tre giorni a passare in rassegna i siti libanesi in cerca di altri dettagli l’architetto di Sant’Egidio alla Vibrata  Mahmoud Tosson, 59 anni, originario di Beirut, che da 40 anni vive in Italia, in provincia di Teramo.

E' lui uno tra i primi ad aver diffuso la notizia su Facebook dell’enorme esplosione, avvenuta martedì pomeriggio intorno alle 17,15 ora locale, di 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio scaricati al porto nel 2013 e poi depositati in un container. Sulla sua pagina i continui aggiornamenti che mostrano la disperazione di un uomo legato alla sua terra d’origine, già martoriata dalla crisi economica e dal Covid, dove ancora vivono i suoi parenti. «Sì, lì ho ancora un fratello, gli zii, i cugini e le nipoti – racconta -. Li ho sentiti subito, anche se i contatti telefonici dopo sono saltati. Moralmente stanno a pezzi, ma fisicamente per fortuna stanno tutti bene». La loro casa è a circa 6 o 7 chilometri dalla zona del porto e per questo l’abitazione e un negozio a causa dell’onda d’urto ha riportato danni: vetrate e finestre rotte, mattonelle e porte saltate in aria, mobili a terra. Le immagini sul web parlano da sé. «Inizialmente avevano pensato ad un’esplosione atomica, il botto è stato talmente forte che hanno avvertito anche una scossa di terremoto del quinto grado della scala Richter». Mahmoud è da 17 anni che non torna più a Beirut. «La mia famiglia è stata colpita dalla tragedia del Libano – racconta - I miei genitori si sono trasferiti in Canada, io a 18 anni sono venuto a studiare architettura in Italia con l’intenzione di ritornare in Libano, ma poi ho conosciuto una ragazza italiana, di Sant’Egidio, che è diventata mia moglie e così sono rimasto a vivere qui. Mio fratello, invece, è a Beirut con la sua famiglia. L’ultima volta che l’ho visto, due anni fa, eravamo nel Qatar, non ci siamo potuti riunire tutti insieme neanche quando è morta mia madre».

Ma grazie a Whatsapp quasi ogni giorno si sente e si vede con suo fratello e con le nipoti. Un rapporto che neanche le distanze e il tempo sono riusciti ad affievolire ed ora più mai sembra rafforzarsi. «Non ho dormito, non ho chiuso occhio dopo la notizia di quello che è successo – prosegue - Se ci fosse altro dietro tutto questo, davvero sarebbe l’inizio di un’esplosione del Medio Oriente. Non ci voglio neanche pensare. Il problema vero adesso è la nube tossica pericolosissima che avrà effetti devastanti sulla popolazione e sull’intero territorio. Da lì le persone inizieranno ad andare via».

Per aiutare i suoi concittadini è probabile che si organizzerà una raccolta fondi da destinare proprio alla popolazione di Beirut. «In questo momento hanno bisogno di tutto». «La prima ad aver contattato è stata mia nipote.

Era scappata da un locale sotto casa dove si trovava. Era sconvolta. Non sapeva neanche cosa fosse accaduto. Poi sono saltate le linee telefoniche e solo in serata sono riuscito a parlare con mio fratello». Con il passare delle ore salgono il numero dei morti e quello dei feriti. Numeri che confermano la portata della doppia esplosione che ha colpito il cuore di una città che ora dovrà avere la forza di rialzarsi. «C’è prudenza nel puntare il dito – prosegue Mahmoud - ma il dolore in questo momento è tanto ed è necessario che venga accertata la causa dell’accaduto».

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