Coronavirus, avvocato guarito dopo 9 settimane: «Dalla Asl ho ricevuto poco aiuto»

Coronavirus, avvocato guarito dopo 9 settimane: «Dalla Asl ho ricevuto poco aiuto»
di Berardo Lupacchini
Mercoledì 3 Giugno 2020, 10:11
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Nove settimane e mezzo dopo, riecco in forze Paolo Bianchini, 51 anni, avvocato di Penne e dirigente accompagnatore del Basket Penne, marito e padre di due figli: è guarito dal coronavirus. Una mail della Asl lo ha appena informato. Ma la stessa Asl lo ha lasciato troppo da solo: «Mi chiamavano solo per un questionario statistico». «Ora, dopo due tamponi consecutivi negativi, posso dirmi libero dalla prigionia impostami dal Covid-19, ben 67 giorni dopo l’insorgenza della malattia: incubo finito. Per giungere alla guarigione sono stati necessari due periodi di cure. Per due volte sono stato costretto a recarmi all’ospedale San Massimo per accertamenti ed esami. La prima volta a fine marzo e la seconda a metà maggio quando, risultando alla Tac non ancora guarito dalla polmonite, ho dovuto ripetere una cura farmacologica, visto che la serie di tamponi dava di continuo risultati di positività al Covid-19».

Quasi tre mesi lontano dallo studio legale, Bianchini è stato vittima della quarantena imposta dal virus e nello stesso tempo “sequestratore” della moglie e dei due figli anch’essi obbligati a casa avendo avuto contatti con un positivo. «Il cruccio più grande è stato soprattutto quello di aver costretto i miei familiari ad isolarsi dal mondo esterno. Il tempo non passava mai e l’unica consolazione è stata la casa abbastanza grande. Mio figlio Francesco ha seguito on-line le lezioni universitarie di diritto costituzionale e mia figlia Sofia, al primo anno di liceo scientifico, ha subito la prigionia più lunga di 86 giorni essendo uscita l’ultima volta con le amiche il lontano 5 marzo. Ma la sua più grande sofferenza è stata quella di non aver partecipato al Trofeo delle Regioni in cui sarebbe stata protagonista con la rappresentativa dell’Abruzzo».

Tutto è cominciato quel lontano 25 marzo: nevicava e l'avvocato Bianchini registrava la febbre alta. «Con molta probabilità il virus me lo sono beccato in casa, proprio nel luogo ritenuto più sicuro, da un cosiddetto portatore con pochi sintomi, visto che mia moglie dieci giorni prima di me, senza avere un decimo di febbre, aveva avuto una tosse secca e una rinite, scambiate per i soliti sintomi dell’allergia stagionale. Durante i primi venti giorni di marzo, mi ero fatto le mie consuete tre corse a settimana di un’oretta nei pressi della mia abitazione. Stavo in perfetta e forma e forse le mie ottime condizioni di salute avranno impedito un decorso più drammatico della malattia. E senza alcun preavviso, quel maledetto 25 marzo ecco che arriva la febbre a 38. La prima notte trascorsa insonne con un unico forte sintomo: dolori alle ossa delle gambe ed al bacino come se fossi stato sottoposto a tortura cinese, con l’uso di una tenaglia. Per altri sei giorni la stessa sintomatologia, febbre persistente e spossatezza, senza raffreddore o mal di gola e nemmeno un colpo di tosse. Temevo che non fosse un semplice stato influenzale, ma che si trattasse degli effetti di quel malvagio virus. Avvisai subito il mio medico curante che mi prescrisse una cura antibiotica per vederne l'effetto. Ma l’antibiotico e la tachipirina non servivano a nulla. La febbre persistente a 38 non andava via ed i dolori lancinanti alle ossa non diminuivano. Quindi, su invito del mio medico, la mattina del 30 marzo ero costretto a farmi accompagnare all’ospedale San Massimo. Dentro la struttura Covid, allestita dinanzi al Pronto Soccorso, venivo sottoposto a tutti gli accertamenti in modo altamente professionale. Oltre alla visita specialistica, venivano eseguiti prelievi ematici, elettrocardiogramma, tampone e una Tac al torace. Al termine della giornata trascorsa in ospedale, l’esito del referto della TAC non lasciava dubbi: le alterazioni polmonari erano quelle tipiche da Covid date dalla presenza di estese e multiple aree “a vetro smerigliato” “per attuale presenza di forma interstiziale monolaterale destra».

La diagnosi faceva raggelare il sangue e per un attimo sembrava di vivere una situazione non reale. L'unica notizia confortante era che la polmonite non era bilaterale, si trovava ancora in uno stato precoce e c’era ancora la possibilità di contenerla evitando il ricovero con una cura farmacologica a domicilio. Per fortuna la cura a base di idrossiclorochina, antibiotico e tachipirina, nel mio caso si rivelò efficace. Si trattava di terapia sperimentale e soprattutto il farmaco antimalarico presentava della controindicazioni molto serie tant’è che mi convinsi ad assumerlo con una certa titubanza. Dopo quindici giorni di cure trascorsi a letto, mi rimisi in piedi ma a quel punto mi resi conto che il virus aveva avuto degli effetti deleteri sull’organismo. In pratica, era subentrato uno stato di astenia tale che non riuscivo a compiere più di dieci passi dopodiché mi venivano a mancare le forze. Trascorsi circa venti giorni, mi illusi che le forze erano tornate e quindi provai a fare un piccolo sforzo scendendo nella taverna al piano seminterrato. Nel risalire le scale, dopo una ventina di gradini, fui costretto ad appoggiarmi al muro avendo finito tutte le energie. Lì capii che i tempi per una completa guarigione sarebbero stati lunghi. Ma l’aspetto più pesante da affrontare durante la convalescenza è stato quello dell’isolamento: i primi venti giorni trascorsi nei 20 mq della camera da letto dove mi venivano portati i pasti in un vassoio. Fortunatamente il virus non ha avuto alcun effetto sull’appetito, tant’è vero che non mi sono fatto mancare nulla, compresi gli arrosticini mangiati sul comò! Uscivo solo per andare al mio bagno esclusivo».

Ma a Bianchini qualcosa non è piaciuto proprio: il sentirsi abbandonato. «Poco peso viene dato però all’elevato numero dei positivi costretti all’isolamento domiciliare sotto sorveglianza attiva della Asl. Non ci si rende conto di un’enorme massa di persone e di famiglie che, come fantasmi invisibili, restano quasi abbandonati a se stessi, in attesa che la malattia finisca il prima possibile e nel migliore dei modi. Nel mio caso, i pochi contatti telefonici intercorsi con la ASL sono serviti soltanto alla compilazione di questionari statistici utili a rilevare i sintomi, le presunte modalità di contagio ed i modi di svolgimento del periodo di quarantena in casa. L'unico supporto vero è stato quello del mio medico curante, il dottor Roberto Lucci, sebbene impossibilitato ad effettuare visite a domicilio».
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