Peste suina, gli allevatori: «A rischio in Abruzzo oltre dodicimila aziende»

Peste suina, gli allevatori: «A rischio in Abruzzo oltre dodicimila aziende»
di Saverio Occhiuto
Venerdì 20 Maggio 2022, 09:41
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PESCARA - L'allarme era già scattato due settimane fa, quando nella periferia Nord di Roma era stata trovata la carcassa di un cinghiale risultato positivo alla peste suina africana. E dal Lazio all'Abruzzo la strada non è poi così lunga da percorrere per una delle più temute malattie virali che colpisce suini e cinghiali, ma non l'uomo. Dunque, nessun rischio diretto per la salute (in un momento in cui sembra per altro allontanarsi la pandemia da Covid) mentre a preoccupare sono le possibili ricadute economiche sul settore zootecnico e l'intera filiera dell'indotto.

Così dopo i primi approfondimenti di laboratorio e le misure di prevenzione attivate ne Lazio dalle autorità sanitarie, anche l'Abruzzo si mobilitata. Nei giorni scorsi la Regione ha approvato un piano di interventi urgenti che prevede, tra l'altro, la sorveglianza passiva delle popolazioni di cinghiali e negli allevamenti suini, oltre al censimento degli animali e la verifica delle misure di biosicurezza applicate, accompagnata da una campagna di formazione e informazione di tutte le figure aziendali coinvolte.


Di nuovo c'è adesso la richiesta del presidente regionale della Cia (Confederazione italiana agricoltori), Nicola Sichetti, che sollecita l'intervento dell'esercito per scongiurare il peggio. La minaccia che l'epidemia possa superare con una certa rapidità i confini laziali è ritenuta infatti altamente probabile dall'organizzazione di categoria, e il responsabile della Cia invita ad alzare l'attenzione: «Non c'è più tempo. Senza un contenimento efficace, la diffusione della malattia rischia di pregiudicare tutto l'indotto della suinicoltura abruzzese».

Preoccupazione che sta anche nei numeri forniti dalla stessa Confederazione degli agricoltori: 12mila aziende familiari e commerciali impegnate nell'allevamento, la lavorazione e la produzione della carne suina in Abruzzo, mentre la popolazione dei cinghiali sul territorio sfiorerebbe i 49mila capi. Da qui l'invito a potenziare tutti i sistemi di controllo e di prevenzione, alla luce di ciò che sta accadendo nel Lazio, ma anche in Liguria e in Piemonte, con il coinvolgimento dei servizi veterinari pubblici e dell'intera filiera della produzione suinicola, compreso il mondo venatorio.

Un invito alla responsabilità, soprattutto sul piano dei controlli, rivolto anche a tutti i cittadini per segnalare in tempo ogni avvisaglia che possa fare pensare alla presenza della malattia in Abruzzo.

Che pur non rappresentando un pericolo diretto per l'uomo, potrebbe creare serie difficoltà organizzative ed economiche al settore zootecnico. In particolare la Cia sollecita misure di contenimento alle autorità locali che comprendono anche la riduzione dei capi ove fosse necessario. Pur non essendo trasmissibile da animale a uomo, la peste suina ha comunque la caratteristica di propagarsi velocemente tra gli animali selvatici e di allevamento della specie suina.

Anche mangiando carne infetta non si corre tuttavia il rischio di contrarre il virus, che attraverso il contatto diretto con indumenti, scarpe, attrezzature agricole o mezzi di trasporto, può essere comunque diffuso involontariamente anche dall'uomo.

Un'altra minaccia è rappresentata dalle carcasse di animali infetti abbandonate in prossimità di allevamenti o di pascoli. Così come da insaccati che contengono carni contaminate dalla peste suina o smaltite con modalità non conformi alle leggi sanitarie. Ecco perché, come ricorda la Confederazione degli agricoltori, le misure di controllo e di prevenzione chiamano in causa più livelli di responsabilità. I controlli negli allevamenti familiari di suini e cinghiali destinati alla produzione sono già stati affidati alle Asl. Tra le altre misure consigliate per il contenimento della malattia, oltre al divieto di caccia nelle zone popolate da ungulati, figura lo stop a eventi e scampagnate all'aperto per evitare il contatto di scarpe e altri indumenti con il virus.
 

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