Scherza col cuoco/ E’ in occasione delle feste di Natale che il cibo assume un valore sacrale

il parrozzo
il parrozzo
di Carlo Gizzi
Domenica 27 Dicembre 2020, 12:35
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L'AQUILA Ormai l’inverno è arrivato e le giornate sono sempre più corte e fredde. Ora che i buoi sono nelle stalle e i campi sono coperti della coltre di neve, il lavoro si ferma e diviene necessario riscaldare le membra e lo spirito, mentre si attende il ritorno del “Sole”. Ci si riunisce, allora, attorno al focolare per ascoltare i vecchi che raccontano storie che hanno una profonda valenza antropologica e morale dove il bene è sempre vincitore, ma a condizione che si brucino gli spiriti del male al fuoco sacro della verità, rappresentato dal grande ciocco di quercia che brucia nel camino per illuminare tutte le Feste.

Quanto diventa importante, un bene, quando lo si perde, anche se temporaneamente! Così accade con il sole che tra gli uomini diviene divinità da festeggiare e da invocare quando non c’è, perché ritorni al più presto a riscaldare la vita e gli animi degli esseri viventi e a illuminarne il cammino verso la “verità”. Quando la vita scorreva secondo i ritmi delle stagioni, il caldo bagliore del sole rappresentava la verità, mentre la luna, abbinata alla notte, l’ignoto.
Per questa regione il Natale di Cristo viene festeggiato come il giorno in cui il sole riprende il suo corso vivifico e non a caso coincide con il periodo dell’anno in cui minore è l’insolazione e in cui maggiore è il bisogno di luce e di calore.

Sull’onda di questa magia, anche la cucina, durante le Feste di Natale, assurge a rito propiziatorio: è la festa della famiglia, del perdono, del riposo, del benessere e anche la tavola deve riflettere questo codice. In questo periodo si avverte la necessità di manifestare la propria esistenza e il bisogno di propiziarsi salute e prosperità attraverso il cibo che deve essere abbondante, in totale antitesi a quelli che erano gli stenti che si pativano durante tutto l’anno e che caratterizzavano la frugalità della tavola e della vita.

Nella preparazione delle portate natalizie, oltre ai soliti ingredienti classici come erbe aromatiche e condimenti, si usa pesce, carne, miele, frutta secca e candita, spezie, del tutto “dimenticati” durante il resto dell’anno; i tovagliati sono candidi e impreziositi da merletti; i tempi dell’assunzione dei cibi sono rilassati, prolungati, scanditi da ritmi che non sono quelli quotidiani.

Questo cibo assume un significato sacrale, quasi liturgico, divenendo parte di un rito offertorio celebrato per propiziarsi i favori della Divinità-Sole. E ciò che sottolinea la forte valenza antropologica delle Festività collegate al Natale, sono le riunioni familiari attorno alla tavola (quest’anno, ahimè, limitate alla presenza dei soli conviventi) piena di ogni ben di Dio! Portate che caratterizzano ogni angolo d’Italia e che rappresentano un vanto del territorio, ma che non hanno nessuna codifica essendo state tramandate da generazione in generazione. Proprio come questo dolce tutto abruzzese che, per la sua forma e per la rozzezza dei suoi ingredienti, venne battezzato dal Vate pescarese.

LA RICETTA DEL PARROZZO
Con la frusta monto 6 uova intere fino a raddoppiare il volume; aggiungo 200 gr di zucchero, la buccia grattugiata di un limone e continuo a montare. Trito 200 gr di mandorle dolci e 6 mandorle amare con la loro pellicina e le unisco al composto insieme con 150 gr di semolino e un bicchierino di liquore all’arancia. Imburro e infarino lo stampo a cupola, verso al suo interno il composto e lascio cuocere a 160°C. per 50 minuti. A cottura ultimata lo lascio raffreddare; in un pentolino faccio sciogliere a “bagnomaria” 250 gr di cioccolato fondente che verso sulla sommità del dolce fino a ricoprirne l’intera superficie.
Carlo Gizzi

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