Il mistero di Antonio, cecchino per passione tra i guerriglieri in Ucraina

Il mistero di Antonio, cecchino per passione tra i guerriglieri in Ucraina
di Gian Pietro Fiore
Sabato 28 Marzo 2015, 10:13 - Ultimo agg. 22:10
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Antonio, cecchino per passione, e per mestiere. L’irpino intervistato in settimana tra i guerriglieri in Ucraina dalla trasmissione «Le Iene», potrebbe essere il militare a pagamento Antonio Cataldo, originario di Chiusano, che nel 2011 era finito nelle prigioni libiche di Gheddafi insieme a due compagni del fronte della guerra che portò al rovesciamento del regime nordafricano.



Lo stesso Antonio, 30 anni, questa volta ci ha messo la faccia: vestito in tutta mimetica e imbracciando un fucile, ha raccontato all’inviato de «Le Iene» la sua vita da mercenario. Una chiacchierata sincera, dove l’irpino ha confessato al giornalista di essere arrivato lì «per difendere questa gente dagli attacchi ucraini».



Allo stato, dunque, il 30enne farebbe parte dell’esercito filorusso e pagato da Mosca per combattere in Crimea (al fine di annetterla) una guerra che non gli appartiene. Per Antonio è un vero e proprio business e candidamente ammette: «In Libia si pagava molto bene, diverse migliaia di euro al mese, qui in Russia è un’altra storia: non pagano, qualche volta qualche centinaia di euro. Diciamo che lo faccio per passione».



È in corso di accertamento, ovviamente, l’identità dell’Antonio che mostra il suo volto alle telecamere per raccontare la sua storia di contractor. Ma tutto, in primis le immagini, lascia pensare che si tratti proprio di Antonio Cataldo da Chiusano San Domenico, lo stesso militare a pagamento che tre anni fa uscì allo scoperto e ai microfoni di Telenostra raccontò la sua esperienza di prigioniero nella carceri di Tripoli ancora nelle mani del colonnello Gheddafi. In quell’occasione Antonio non era da solo, ma venne catturato e tenuto in prigione, per circa un mese, insieme a Luca Boero, 42 anni, di Genova e Vittorio Carella, 42 anni, di Peschiera Borromeo, in provincia di Milano.



L’irpino, in quella occasione, sostenne di essere caduto insieme agli colleghi in una trappola tesagli da un finto poliziotto che li rapì e li vendette degli uomini armati che a loro volta li consegnarono alle truppe del colonnello Gheddafi. Antonio raccontò di una prigionia al limite della sopportazione, caratterizzata da torture e sevizie. I tre, sempre stando al loro racconto, vennero ammanettati, bendati e derubati. «Brutto, brutto – riferì Antonio - ci hanno messo in una stanza, poi ci hanno chiamato uno alla volta in un’altra camera. Ridendo, ci dicevano «no problem, no problem». Mi hanno levato tutta la roba che avevo addosso, mi hanno tolto le scarpe, mi hanno legato, mi hanno bendato, la benda stretta. Noi pensavamo che ci sparavano, che ci ammazzavano».



La famiglia dell’Antonio sequestrato in Libia, e che dunque dovrebbe essere lo stesso attualmente in Ucraina, vive ancora a Chiusano San Domenico. Nessuno dei famigliari, prima di aver visto il servizio de Le Iene, era a conoscenza di cosa stesse facendo il proprio congiunto in Ucraina. Le uniche informazioni di cui sono a conoscenza coincidono con i lunghi viaggi che di tanto in tanto Antonio compie senza comunicare la destinazione. Nella vita normale, quella Irpina, Antonio ha sempre tirato a campare, alternando lavoretti saltuari, come l’idraulico o il meccanico. Al suo ritorno in patria nel 2012, l’irpino tenne a precisare: «Non sono una spia. Ero in Libia come bodyguard, avendo seguito corsi di specializzazione in paesi dell’est». E proprio questa «professionalità» potrebbe metterlo nei guai, visto che di recente sono state irrigidite le misure antiterrorismo da parte del governo italiano, che dunque potrebbe puntare il dito proprio contro i mercenari e i loro reclutatori.