Franco Arminio, il paesologo di Bisaccia:
«Chi fa cultura ha difficoltà a venir fuori»

Franco Arminio, il paesologo di Bisaccia: «Chi fa cultura ha difficoltà a venir fuori»
di Rossella Fierro
Mercoledì 11 Maggio 2022, 08:21 - Ultimo agg. 13:11
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«Avellino non mi sembra una città vitale sotto il profilo culturale. I ragazzi vanno via, come accade in tutta l'Irpinia che non ha ancora elaborato il lutto del sisma come occasione mancata». Questa l'istantanea del capoluogo e della provincia scattata da Franco Arminio. Il paesologo di Bisaccia, tra gli intellettuali più in auge del momento, non si sottrae ad alcune riflessioni a margine dell'incontro «La voce dei poeti» organizzato dalla Diocesi di Avellino. Al fianco del vescovo Arturo Aiello, Arminio si è confrontato sul tema della religione e sul concetto di sacro con il pubblico del Polo Giovani di via Morelli e Silvati. Inevitabile una digressione sul tema delle aree interne, da sempre al centro delle riflessioni di Arminio.

«L'Irpinia in realtà sta male non malissimo. È una terra che ha una percezione del suo stato che è un po' diversa dalla realtà oggettiva. Questo perché non ha ancora del tutto elaborato il trauma del terremoto, nonostante siano passati quaranta anni. Porta su di sé il peso dell'occasione mancata, e cioè di quel modello di tragedia che poteva trasformarsi in strumento per affrancarsi da miseria e arretratezza culturale, attraverso la ricostruzione e le conseguenti opportunità di sviluppo, che non si è mai realizzato» dice Arminio. Un giudizio che non risparmia neanche il capoluogo: «Non frequento Avellino da molto tempo, ma solitamente se in una città accade qualcosa di bello si viene a sapere. Da qui non mi arrivano grandi notizie e l'impressione che ho è che nella città la cultura sia poco vitale. Chi fa cultura fatica a venire fuori, forse c'è un modello da cambiare». Una provincia vuota che, questa la visione del poeta, rischia di perdere anche il treno del Pnrr. «Questi fondi straordinari sono tarati per le realtà forti, sia a livello pubblico che privato.

Piccoli comuni dell'entroterra come quelli altirpini fanno fatica ad entrare nel meccanismo dei progetti del Pnrr. La stessa transizione ecologica doveva essere sostanzialmente intesa come la transizione verso i paesi. Finita la pandemia chi era tornato da Milano, Torino, Bologna a Trevico, Bisaccia, Lioni per lavorare in smart working avrebbe dovuto avere la possibilità di continuare a farlo in modo stabile. In questo modo si sarebbero ripopolati i nostri borghi, sarebbe tornata la vita nei nostri paesi fantasma. Il vero dramma è che nelle aree interne non c'è conflitto. Se pensiamo ai progetti sull'eolico- è l'esempio che fa Arminio- i nostri paesi dovrebbero trovare la forza per federarsi e chiedere al Governo di ridiscutere i progetti in atto che al territorio non lasciano nulla se non enormi pali disseminati ovunque». Una condizione di isolamento e solitudine delle comunità che in qualche modo si lega anche all'ultima opera letteraria di Arminio, edita da Einaudi, il cui titolo provvisorio è «Sacro minore». Un volume che sarà in libreria il prossimo anno e che racchiude la visione religiosa di un non praticante alla luce anche degli avvenimenti attuali. 

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«Credo che lo strapotere della religione dell'economia sta in qualche modo prendendo il posto del sacro. Pensiamo al periodo più cruento della pandemia quando il virologo ha sostituito il prete a cui affidarsi, gli ospedali erano diventate le nuove cattedrali in cui pregare. Ritengo che questa concentrazione sul contingente e sull'attualità non faccia bene a nessuno. Gli uomini devono ritrovare un rapporto con la trascendenza: da soli non sappiamo più farci buona compagnia- dice Arminio- La guerra lo sta dimostrando ancora di più: le parole di pace più forti in assoluto le sta dicendo Papa Francesco. Una figura che tutti rispettano, che tutti citano, ma che adesso viene ignorata e talvolta anche censurata come se fosse un opinionista qualsiasi. I potenti stanno dicendo con arroganza che il gioco della guerra è in mano a loro. E questo è molto grave. C'è un'invadenza totale dell'economia nelle vite umane. Un'economia che produce diseguaglianze tra paesi ricchi e poveri, ma anche all'interno degli stessi in cui solo una parte della popolazione si è affrancata dalla miseria materiale. Ma l'Occidente è complessivamente depresso. Irpinia compresa». 

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