Ettore Barra: «Volevo fare il poliziotto, ho scelto la letteratura»

A 36 anni è uno dei più giovani editori del Mezzogiorno

Ettore Barra
Ettore Barra
di Stefania Marotti
Domenica 29 Gennaio 2023, 11:37 - Ultimo agg. 11:45
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Avellinese Doc, 36 anni, Ettore Barra, figlio del docente universitario e storico di fama nazionale Francesco, ha fatto della sua passione per la scrittura una missione, fondando la Casa Editrice Il Terebinto. Laureato in Lettere e Filosofia e specializzato in Storia, è un sensibile imprenditore della cultura, che ha dato vita ad un'azienda conosciuta non solo per le sue pubblicazioni, ma anche per aver ripreso a divulgare la storica rivista fondata da Mario Gabriele Giordano, Riscontri, di cui è pure il direttore responsabile.


Barra, com'è nata la passione per l'editoria?

«Nel 2011, quando ero ancora all'università, abbiamo fondato Il Terebinto, un'azienda familiare, perché volevo realizzare il sogno di papà. Dell'impresa fanno parte mio fratello Vincenzo, e mia zia Mariella Barra, che era proprietaria del marchio Barra-Sellino».


Un brand prestigioso del nostro territorio, che oggi non c'è più.

«La mia famiglia è sempre stata molto attenta alla divulgazione della sensibilità culturale, attraverso la scrittura di saggi storici, la poesia, ma anche sostenitrice di qualsiasi iniziativa che possa contribuire allo sviluppo della provincia ed alla sua centralità nel dibattito sulle nuove tendenze.

Siamo convinti che i circuiti dell'arte, anche attraverso la proposta narrativa, la ricerca, la saggistica possano fare emergere le intelligenze di cui è ricca l'Irpinia, che vanta talenti e risorse umane da invidiare».


Come immaginava, da bambino, il suo futuro?

«In verità, volevo fare il poliziotto, assicurando alla giustizia i cattivi. Poi, già frequentando il liceo, mi sono accorto che la mia dimensione era storico-letteraria. Mi piaceva scrivere, leggere, sono diventato giornalista. Così, ho scoperto la mia vera vocazione».


Nel 2011 il settore era già in crisi. Non le è sembrato temerario fondare la casa editrice?

«Era davvero un azzardo, però, ne avvertivamo l'esigenza. In quel periodo, eravamo in piena crisi finanziaria, un po' come oggi, e l'Irpinia stava perdendo la propria identità. Così, riflettendo, ma anche rinnovando il nostro amore per il territorio, abbiamo ritenuto necessario recuperare la memoria storica della città e della provincia. Ci siamo resi conto che c'era un mercato di nicchia da intercettare, rivolto ad approfondire la conoscenza delle proprie radici. Nei Comuni, inoltre, si avvertiva l'esigenza di approfondire l'arte, i monumenti, la storia locale».


Perché avete scelto il singolare nome di Terebinto?

«Inizialmente, pensavamo di dare un nome ispirato alla mitologia greca, ma ci siamo accorti di non essere originali. Così. Abbiamo pensato alla letteratura palestinese. Il Terebinto, infatti, è un arbusto diffuso in Palestina, con la caratteristica di svilupparsi fino a diventare una quercia. Se ne parla molto nella Bibbia, tanto che la battaglia tra Davide e Golia ebbe luogo nella Valle del Terebinto. Ci è sembrata una denominazione di buon auspicio».


Come è stata accolta dalla città questa nuova realtà editoriale?

«C'è stato molto entusiasmo, perché l'Irpinia ha molti fermenti letterari, anche se la cultura è frammentata e non si registra unitarietà di proposte. Così, la nostra casa editrice diventava la voce delle realtà più dinamiche del territorio».


Come sono strutturate le sezioni?

«Le collane principali sono Storia del Mezzogiorno, Terre e Genti d'Irpinia, e Carmina Moderna, dedicata alla poesia».


Qual è, secondo lei, il libro più singolare che ha pubblicato?

«Latitante a domicilio. La storia di Vito Nardiello. Il Lupo d'Irpinia. È stato scritto da un giornalista di Firenze, Giuseppe Alessandri, che si è appassionato alla vicenda dell'ultimo dei briganti. Ci sono testimonianze, documenti, con una narrazione di stile avventuroso, sulla falsariga del romanzo».


Il titolo è particolare.

«Paradossale, direi. La storia appartiene al dopoguerra. Nardiello era stato condannato per crimini efferati, ma le forze dell'ordine non riuscivano a catturarlo, nonostante vivesse a Volturara. Il malfattore, infatti, aveva creato un clima di omertà con gli abitanti».


C'è una similitudine con la cattura del boss Matteo Messina Danaro?

«Sicuramente sì, l'omertà è un fenomeno che persiste ancora oggi. Tutti sanno, ma nessuno parla». Ci sono titoli diffusi all'estero? «C'è una biografia di Philip Dick, scritta dalla sua compagna Tessa, che racconta la vita del più grande autore di fantascienza al mondo. È un'opera piacevole, calata nel clima culturale che ispirava i romanzi dello scrittore, il suo uso di droghe, la sua percezione di essere perseguitato dal Governo».


Cinque anni fa, ha ripreso la pubblicazione della rivista Riscontri. Come è avvenuta questa scelta?

«L'idea nasce da una telefonata del suo fondatore, Mario Gabriele Giordano, dispiaciuto per lo stop alla pubblicazione del periodico. Gli piaceva la nostra casa editrice ed abbiamo iniziato questa nuova avventura. Mi sono sentito investito di una grande responsabilità, ma l'idea di mantenere in vita la rivista, che aveva una caratterizzazione internazionale, era, per me, una nuova ed affascinante sfida».


Quanto pesa essere figlio di Francesco Barra?

«Lavorare con la casa editrice ha cementificato il nostro rapporto. Io sono diventato l'editore di mio padre e lui è il mio autore. C'è un continuo e costruttivo confronto».


Qual è, invece, il suo rapporto con l'Irpinia?

«Mi sento molto in simbiosi con il territorio, che ho scoperto anche grazie all'attività delle associazioni, come Info Irpinia di Francesco Celli. La provincia ha delle bellezze naturalistiche, paesaggistiche invidiabili. Per me, che sono appassionato di trekking, i suoi sentieri sono una continua sorpresa. Mi piace anche scattare delle foto dei luoghi che giro, dei borghi, belli, accoglienti, a misura d'uomo».


Quali sono i suoi progetti imminenti?

«Stiamo pensando a realizzare dei salotti letterari, con i miei autori e gli scrittori di altri marchi. In città, manca un ritrovo informale per i lettori».
 

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