Avellino, M5S lancia la sfida finale
nel vecchio feudo democristiano

Avellino, M5S lancia la sfida finale nel vecchio feudo democristiano
di Generoso Picone
Martedì 5 Giugno 2018, 10:43
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Dai muri sono scomparsi i poster con il bacio tra Ciriaco De Mita e Nicola Mancino, frottage di un impenitente emulo di Mimmo Rotella sull'esempio di quello che a Roma vedeva avvinghiati Luigi Di Maio e Matteo Salvini e qui sigilla la ritrovata intesa con l'annuncio nel fumetto «E non ci lasceremo mai», ma tra i manifesti elettorali sbuca ancora il simbolo storico della Dc, la donna turrita a impersonare l'Italia che si protegge con lo scudo crociato dalla falce e martello. Roba d'altre epoche, l'ultima volta era apparso nel 1992 e poi era andato nel ripostiglio della Prima Repubblica: lo ha riproposto Gianfranco Rotondi, segretario di Rivoluzione Cristiana, per la lista a sostegno del candidato sindaco di centrodestra Sabino Morano. Lui dovrà fare a meno di Matteo Salvini, il neoministro leader leghista ha fatto sapere che per intuibili sopravvenuti impegni non potrà essere al comizio di chiusura di campagna elettorale: giustificato, verrà appena possibile.

Di Maio ci sarà, invece. Il capo politico del M5S, appena nominato ministro nel governo di Giuseppe Conte, arriverà venerdì a lanciare la volata di Vincenzo Ciampi verso Palazzo di Città. Lui ad Avellino ci è nato - il 6 luglio 1986 però per ragioni soltanto di ospitalità clinica: ma su Avellino ha posto la bandierina della roccaforte da conquistare al centrosinistra, per farne il primo capoluogo di provincia della Campania amministrato dai Cinque Stelle, e verificare la tenuta del movimento dopo la svolta di Palazzo Chigi in un test di verifica dei poteri che va anche oltre il significato politico-amministrativo e assume il valore simbolico la cui ragione sta proprio in quella prova di street art beffarda e irriverente.
 
Il 4 marzo scorso, alle elezioni politiche, in città Il M5s ha ottenuto il 40,56 per cento al Senato e il 39,46 alla Camera, esprimendo due parlamentari avellinesi sui cinque complessivi dell'Irpinia. Un trionfo che ha annientato il centrosinistra. Uno tsunami politico a minacciare il radicale cambio di stagione laddove, nel precedente turno del 2013, il M5S si era fermato al 3,04 per cento. Quasi 10mila consensi in più. «Avellino ora ha una grande possibilità di fare qualcosa di importante. Sugli altri non mi pronuncio. I fatti per loro son inclementi: tra scandali, precedenti pessimi, e personaggi intenzionati solo a fare interessi, hanno dimenticato la città», annuncia Carlo Sibilia, deputato pentastellato alla seconda legislatura, già nel direttorio nazionale del movimento e ora segretario della Camera.

Il fortino da assaltare è quello che si raccoglie intorno a Nello Pizza, cinquantunenne affermato avvocato penalista, per altro difensore del sindaco uscente Paolo Foti che ha rinunciato alla seconda candidatura dopo un quinquennio di contrasti e lacerazioni all'interno del Pd e della maggioranza di centrosinistra. Ora, tutto pare ricomporsi: a suo sostegno sette liste, oltre duecento aspiranti consiglieri, i rappresentanti di tutte le componenti democrat che prima si erano fronteggiate in una sorta di gioco al massacro che di fatto aveva avvilito l'esperienza fotiana. Tutti insieme grazie agli interventi di Mancino, del governatore Vincenzo De Luca, della presidentessa del consiglio regionale Rosa D'Amelio, dell'ex deputato e sottosegretario Umberto Del Basso De Caro i quali hanno varato un centrosinistra largo se non larghissimo con l'apporto dei centristi di Ciriaco De Mita. L'ex ministro Graziano Delrio è atteso per salutare il patto post-ulivista, comunque senza la tensione dell'Ulivo che potrebbe riproporre le contrapposizioni al momento dell'eventuale composizione della giunta.

L'obiettivo era quello di vincere al primo turno, evitando i rischi del ballottaggio. Ma il secondo turno sembra inevitabile e domenica 10 giugno potrebbe costituire soltanto il primo tempo di una partita che vede coinvolti i 46.896 elettori avellinesi alle prese con otto candidati a sindaco e circa 560 a un posto nell'assemblea municipale: in pratica, un candidato ogni 80 elettori. A sfidare Pizza sono Vincenzo Ciampi per il M5S, Sabino Morano per Forza Italia-Lega con quattro liste a supporto, Dino Preziosi sconfitto da Foti al ballottaggio di cinque anni fa, allora era schierato con De Mita - con due liste tra cui quella di Fratelli d'Italia, Luca Cipriano con «Mai più», Nadia Arace con «Si può», Massimo Passaro con «I cittadini in movimento» e Giuliano Bello con CasaPound.

Nonostante un certo understatement di facciata, la campagna è aspra e velenosa. Il tema è quello che proprio l'allestimento del cosiddetto listone per Pizza ha consegnato agli avversari, dettando l'agenda delle accuse e alimentando le polemiche per i casi giudiziari dell'Aias, con il coinvolgimento della moglie di De Mita, Annamaria Scarinzi, per i ritardi nel completamento delle opere pubbliche, con il Tunnel su tutte, per l'emergenza nell'edilizia scolastica, con gli edifici chiusi dalla Procura a causa della carenza dei requisiti di sicurezza, per lo stato delle finanze comunali, ripiombate nel dissesto strutturale, per la chiusura del Teatro Gesualdo, con la presidenza dell'attuale candidato Cipriano azzerata da Foti e dalla bufera sui vuoti contabili della gestione, per il clima di asfissia che da troppo avvolge Avellino. Pizza punta a far innamorare di nuovo gli avellinesi della città. Ciampi, 51 anni, funzionario tributario presso l'Agenzia delle Entrate, promette che il suo primo atto sarà di dare sostegno alle persone in difficoltà attraverso il piano del reddito di cittadinanza locale stimabile tra i 300 e i 500mila euro all'anno e così spera di battere il centrosinistra nelle periferie feudo un tempo inespugnabile per molti dei candidati oggi con Pizza: il 4 marzo avevano già votato altrove, ora l'effetto governo potrebbe dare conferma. Morano arruola le adesioni extra territoriali di Edoardo Sylos Labini e di Diego Fusaro, storico della Filosofia marxista. Cipriano può contare sull'imprenditore del vino Piero Mastroberardino e sull'ex vicepresidente di Confindustria, Andrea Giorgio.

La parola d'ordine è «cambiamento», declinata in mille versioni e spesso nell'azzardo della velleità. Coglie in ogni caso un'ansia, la richiesta di rimettersi in movimento. Verso dove e con chi, tempo una quindicina di giorni e si saprà.
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