Avellino, il boss «indagò» sul furto
al sindaco taglieggiato dai clan

Avellino, il boss «indagò» sul furto al sindaco taglieggiato dai clan
di Gianni Colucci
Venerdì 18 Ottobre 2019, 10:10
4 Minuti di Lettura
Mettere le mani sulla città significava per Pasquale Galdieri creare un proprio sistema militare che controllasse il territorio; un proprio tribunale che agisse alternativamente alla giustizia ordinaria; un proprio sistema di polizia che svolgesse indagini in autonomia se necessario. È quanto emerge dall'ordinanza che ha portato all'arresto di 26 persone, coinvolte nelle vicende criminose che hanno interessato il capoluogo irpino nell'ultimo mese. Galdieri operava con disinvoltura, è anche il coordinatore della mini-inchiesta per tentare di ritrovare due camion rubati, probabilmente appartenenti al sindaco di Serino Gaetano De Feo (non indagato, anzi, secondo gli atti, finanche probabile vittima di un'estorsione).

 

D'altra parte Galdieri aveva legato a sé personaggi che avevano avuto un ruolo nel vecchio clan Genovese in dissoluzione, come Carmine Valente e Luigi Palatucci: manovalanza qualificata, in grado di gestire il territorio e le sue richieste.
La vicenda. Un imprenditore del Serinese, sottoposto al pizzo del Nuovo clan Partenio, sciorina a Galdieri le proprie doglianze. Si lamenta di aver pagato il pizzo per la protezione mentre invece gli sono stati rubati due camion di ingente valore. Le intercettazioni documentano il lavoro di indagine che Galdieri ordina ai suoi uomini, i quali si spostano nella provincia di Foggia per individuare quale sia il gruppo criminale spostatosi fino all'Irpinia per mettere a segno il colpo.
Era avvenuto con l'imprenditrice dell'Alta Irpinia che non vedendosi pagare le rate di affitto dall'inquilino di un suo capannone, si era rivolta a Galdieri. Il boss con i suoi metodi era riuscito a ristorare la donna, di fatto amministrando la giustizia e ottenendo lo sfratto.
Ora è la polizia parallela del clan ad entrare in scena con propri investigatori. «Galdieri - scrive il gip - era particolarmente interessato a conoscere chi avesse commissionato ed eseguito il furto giacchè aveva fatto una brutta figura con l'impresa vittima, nonostante il regolare pagamento del pizzo da parte dell'imprenditore».
Era l'aprile del 2016 quando in un'Audi A6 Ernesto Nigro spiega che si era recato più volte tra Cerignola e Candela per capire chi avesse eseguito il furto.
A seguito delle intercettazioni, i carabinieri rintracciano la denuncia alla stazione dell'Arma a Serino relative a furti nel giugno e nel dicembre del 2015. Vittima è il sindaco Gaetano De Feo, noto imprenditore del luogo. Le denunce sono relative ad alcuni autocarri di colore rosso. I carabinieri avevano ritenuto «compatibili» i due furti denunciati con quelli menzionati nelle intercettazioni. Il commissariato di Polizia di Cerignola aveva fatto a sua volta richiesta ai carabinieri delle denunce di furto di alcuni automezzi, tra cui proprio quelli indicati. «A dimostrazione - scrive il gip - che i due mezzi rubati a Serino erano stati molto probabilmente individuati su quel versante geografico».
Diventare egemone significava per Galdieri occuparsi anche di un'area particolarmente sensibile, come la definiscono i magistrati, cioè quella di Quindici e il Vallo di Lauro in genere.
In un dialogo captato il 23 dicembre del 2015 emerge che Pasquale Galdieri aveva fatto recapitare un «pizzino» a Ernesto Nigro riguardante una presunta truffa di 80 mila euro, scrive il gip, fatta nell'ambito di una compravendita di un ingente quantitativo di castagne da tale Ottavio, ad alcuni personaggi di Quindici. Erano stati poi le vittime della truffa a rivolgersi a Milord per avere giustizia ed ottenere la restituzione del maltolto, «a conferma ancora una volta della piena vitalità ed operatività del clan di Mercogliano».
Ernesto Nigro si mette in moto, infatti, e nei giorni successivi riesce a individuare il responsabile della truffa, il quale viene informato che era al cospetto con il referente di Galdieri. E cosa accade? Compreso che si tratta della nuova consorteria criminale di Mercogliano, quella che gli aveva mandato l'emissario, l'uomo decide di recarsi immediatamente a Bagnoli Irpino. Nella sede di Nigro ammette le proprie colpe, «in maniera remissiva, si era mostrato disponibile a restituire i soldi truffati alle persone di Quindici».
Secondo il magistrato, dalle informazioni raccolte «Ottavio» è Ottavio Telese, un pregiudicato di Acerno «inserito negli ambienti della criminalità organizzata salernitana con numerosi precedenti penali per gravi reati». Telese vicino al clan Pecoraro di Salerno, alla richiesta di onorare il debito risponde immediatamente.
Per il magistrato dunque Quindici era diventata ormai una delle «roccaforti» del nuovo clan, dopo che i truffati si erano rivolti al Milord.
E Milord usa al meglio Nigro, il quale è destinatario anche di incombenze delicate: nel corso di intercettazioni si sente chiedere da un interlocutore se disponesse di «tritolo per il detonatore a distanza», o parla del proposito di acquistare 10 o 20 pistole nuove «se sono vecchie non mi interessano».
Conclude il magistrato: «Piena operatività e vitalità, nonchè ferocia e capillarità con cui il Nuovo clan Partenio di Mercogliano esercita indisturbato il suo potere sul territorio». E chiarisce la capacità del clan di essere «soggetto dominante» al quale molte persone, come «l'imprenditore che aveva subito il furto dei camion rossi, si rivolgevano per ottenere tutela, giustizia e protezione».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA