Regionali Campania 2020, ad Avellino
corsa alla Regione tra veleni e rivalità

Regionali Campania 2020, ad Avellino corsa alla Regione tra veleni e rivalità
di Livio Coppola
Domenica 20 Settembre 2020, 09:36 - Ultimo agg. 13:27
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Quattro posti in palio, cento contendenti divisi in venticinque liste. Quella delle regionali in Irpinia è una competizione nella competizione. Perché da un lato consentirà agli oltre 400mila elettori della provincia di scegliere i nuovi rappresentanti in consiglio e, dall'altro, come da copione, farà celebrare l'ennesima «resa dei conti interna» in tutte le compagini riferibili a partiti e affini. Un doppio binario che rende sicuramente più pepata una sfida che, per molti partecipanti, va oltre il risultato formale del voto. Perché dopo le elezioni verranno altre elezioni su cui pesarsi (per esempio le Politiche, al momento nel 2023 ma non si sa mai), e nell'attesa le ambizioni personali possono trovare conforto in incarichi da sottobosco (nelle partecipate regionali trovano spazio facile i cosiddetti «trombati meritevoli») o nomine di natura diretta o congressuale nei rispettivi schieramenti.

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Anche quest'anno il Partito Democratico irpino non si è smentito, producendo uno scontro feroce tra correnti che consumerà definitivamente il suo primo atto solo a spoglio concluso. Cinque anni fa accadde più o meno la stessa cosa: tre maschietti (Enzo De Luca, Beniamino Palmieri e Francesco Todisco) si ritrovarono in corsa per due posti in lista. Vennero scelti i primi due, mentre Todisco si rifugiò in una civica (De Luca Presidente) che poi è diventato il suo trampolino di lancio, consentendogli di trascorrere alcuni mesi in assemblea (da supplente di Carlo Iannace), ma soprattutto di conquistarsi la fiducia del governatore Vincenzo De Luca, che poi lo ha investito del ruolo di delegato alle aree interne. Tra i dem invece gli uomini rimasero fuori e prevalse la quota rosa, alquanto evergreen, di Rosetta D'Amelio, che oggi si ripropone da presidente uscente del consiglio regionale. A completare il duetto al femminile, la presidente del consiglio comunale di Grottaminarda Antonella Meninno. Per le due caselle maschili, invece, si è dunque replicato il medesimo teatrino del 2015: i prescelti sono stati Maurizio Petracca, consigliere uscente eletto un lustro fa con l'allora Udc demitiana e poi passato con i democrat a dicembre scorso, e Michelangelo Ciarcia, presidente dell'Alto Calore ed esponente dell'area franceschiniana (la stessa di Enzo De Luca). Di riflesso è rimasto fuori dalla compagine di partito l'ex presidente del consiglio comunale di Avellino Livio Petitto che, come il Todisco di cinque anni fa, ha trovato spazio in un'altra lista della coalizione di centrosinistra, quella «Davvero» (con l'aggiunta degli animalisti) che già alle scorse elezioni ospitò come capolista l'attuale «main sponsor» di Petitto, alias il sindaco del capoluogo Gianluca Festa, che insieme ai consiglieri di maggioranza, al deputato dem Umberto Del Basso De Caro (che dunque in Irpinia non sostiene il Pd) e al gruppo di Angelo D'Agostino proverà a portare il suo candidato a un risultato in termini di voti che possa raggiungere o addirittura oscurare quelli di Petracca e Ciarcia. A conti fatti, si comporrà la griglia di partenza del prossimo congresso provinciale democrat con cui si porrà fine alla fase di commissariamento del partito.
 

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Al di là della consueta diatriba nel Pd, ci sarebbe poi da sbrigare la formalità dell'elezione vera e propria. Per quanto riguarda gli stessi democratici, a meno di cataclismi, tra i quattro irpini verrà eletto in consiglio regionale il candidato più votato. Per Petitto e il resto del centrosinistra (in tutto 15 liste) i giochi dipendono da diverse variabili: risultato della propria compagine a livello regionale, percentuale nella circoscrizione irpina rispetto a quelle delle altre province; consenso personale. In pratica c'è bisogno di essere i più votati nella lista, di militare in uno schieramento che ottenga uno o più seggi in regione e che il rapporto tra resti e il numero di caselle in palio nelle circoscrizioni consenta di premiare il candidato irpino piuttosto che quello salernitano, casertano etc. Ovviamente è difficile che i quattro posti vadano tutti alla coalizione vincente. Data per scontata la vittoria di De Luca, una casella potrebbe essere riempita o dal più votato di una delle sei liste del centrodestra di Stefano Caldoro (Fdi in pole, ma se la giocano anche Fi e Lega) o da quello del M5s, che però sconta una campagna elettorale che ha visto parlamentari e big concentrarsi unicamente sul referendum per il taglio dei parlamentari. Ma tutto è possibile.

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È assi arduo, dunque, fare pronostici, e tornando al dedalo del centrosinistra, dove quindi si punterebbe almeno a tre seggi provinciali, allo stato si giocano chance di eleggibilità tutti i «big» delle liste deluchiane: di Petitto si è già detto, ma l'elenco è lungo: si parte da Enzo Alaia, che cerca il bis da capolista renziano di Italia Viva. Poi c'è l'ex manager del Moscati Pino Rosato, proposto dai demitiani nella compagine Fare Democratico-Popolari. Si torna quindi a Todisco, che quest'anno guida la lista Democratici e Progressisti, quella più a sinistra nella coalizione. Centro Democratico invece punta sul sindaco di Teora Stefano Farina, anche lui ex Pd avvelenato. Nei mastelliani di Noi Campani si contendono la cima un medico, Bruno Aliberti, e un avvocato, Guerino Gazzella.
Un discorso a parte riguarda i due capilista delle formazioni più vicine al governatore De Luca, Sabino Basso (Campania Libera) e Carlo Iannace (De Luca Presidente). Entrambi, fortemente voluti dal presidente uscente e in piena corsa per il consiglio, si sono ritrovati loro malgrado nell'elenco dei presunti «impresentabili» (insieme alla leghista Orsola De Stefano, difesa a spada tratta dal partito) compilato dalla Commissione parlamentare Antimafia presieduta da Nicola Morra del M5s. La loro colpa è di essere sotto processo. Basso lo è per «riciclaggio merceologico», nell'ambito di una vicenda legata al suo lavoro di imprenditore dell'olio. Iannace, già eletto 5 anni fa, risulta condannato in primo grado per peculato all'interno di un'inchiesta su alcuni medici del Moscati. Entrambi, non senza qualche ragione, si sono infuriati per questa classificazione coatta a tre giorni dal voto. Basso fa notare che per lo stesso procedimento la sua società risulta già prosciolta e dunque ritiene di poter essere anche lui stesso assolto in tempi brevi (anche se lamenta anche lungaggini nel dibattimento). Quanto a Iannace, Morra ha affermato che «non è in linea con la legge Severino». In realtà è in stra-linea, tanto che dopo la condanna in primo grado ha scontato ex lege i diciotto mesi di sospensione, per poi tornare in aula come la stessa norma gli consentiva. Ora è in corso l'Appello, e nell'attesa può cercare la riconferma. Si può discutere sempre dell'opportunità, ma nell'imminenza delle urne (perché questo elenco non è arrivato a fine agosto?) bisogna attenersi squisitamente a ciò che è consentito dalla legge. I due restano candidati, votabili ed eleggibili e peraltro non c'entrano nulla, nelle loro vicende processuali, con il mondo della malavita organizzata. La commissione Antimafia, in tal senso, anche in Irpinia avrebbe potuto svolgere un lavoro più utile, evitando di fungere da ufficio carichi pendenti e andando a cercare, sempre per tempo, eventuali legami tra altri candidati (non per forza indagati o imputati) ed ambienti poco raccomandabili. Le esperienze degli ultimi anni, con un clan oggi alla sbarra ad Avellino e accusato anche di infiltrazioni nella pubblica amministrazione, ci dicono che un occhio istituzionale in più, da aggiungersi a quello delle Procure, non avrebbe fatto male.

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