Avellino: uccisero il padre di lei a coltellate, 24 anni per omicidio premeditato ai due ex fidanzatini

Sentenza della Corte di Assise per Elena Gioia e Giovanni Limata

Elena Gioia e Giovanni Limata
Elena Gioia e Giovanni Limata
Mercoledì 24 Maggio 2023, 19:06 - Ultimo agg. 25 Maggio, 08:55
2 Minuti di Lettura

Colpevoli di omicidio premeditato. La Corte d'Assise di Avellino presieduta da Gianpiero Scarlato ha condannato a 24 anni di reclusione ciascuno Elena Gioia e Giovanni Limata, i due ex fidanzatini di Avellino che il 23 aprile 2021 accusati di aver ucciso Aldo Gioia, il padre di lei, che si opponeva alla loro relazione. Secondo quanto è stato ricostruito, l'uomo, 53 anni, dirigente di un'azienda metalmeccanica di Avellino, fu colpito da tredici coltellate da Giovanni Limata, all'epoca dei fatti 23enne, mentre si era appisolato sul divano di casa in corso Vittorio Emanuele, ad Avellino. La sentenza, emessa dopo poco meno di due ore di camera di consiglio, ha fatto proprie le richieste formulate dal pubblico ministro, Vincenzo Russo.

L'omicidio di Aldo Gioia è stato uno dei casi di cronaca nera che ha destato più scalpore negli ultimi decenni a Avellino. I due fidanzati, Elena era diventata da poche settimane maggiorenne, avevano progettato anche l'uccisione della madre e della sorella di Elena, Liana Ferraiolo e Emilia Gioia. Furono proprio loro, richiamate dalle urla di Aldo Gioia che cercava di difendersi, a mettere in fuga Giovanni Limata. Il giovane originario di Cervinara era stato fatto entrare in casa da Elena che dopo aver depositato la spazzatura nell'atrio del palazzo, lasciò il portone aperto. La difesa di Elena Gioia, rappresentata dall'avvocato Livia Rossi, stamattina nelle sue conclusioni aveva chiesto alla Corte «una condanna giusta, ma non pene esemplari per soddisfare la piazza mediatica» e di escludere l'aggravante della premeditazione. L'avvocato Rolando Iorio, difensore di Giovanni Limata, contestando la perizia del tribunale che ha accertato la capacità di intendere e di volere dei due imputati, aveva invocato la non imputabilità del suo assistito e, in alternativa, il minimo della pena.

Entrambi gli imputati non erano in aula al momento della lettura della sentenza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA