Don Riboldi e la coscienza del Sud al Circolo della Stampa

Quarant'anni di vicende italiane

Don Riboldi e la coscienza del Sud al Circolo della Stampa
di Gianni Colucci
Giovedì 12 Gennaio 2023, 09:43
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«Il coraggio di don Riboldi è stato tradito» dice Piero Perone, il caporedattore de Il Mattino che per anni ha seguito le vicende del vescovo anticamorra. Perone punta il dito contro la classe politica, sorda al richiamo che per anni ha continuato a lanciare il vescovo di Acerra, fino alla sua morte avvenuta il 10 dicembre del 2017, aveva 94 anni.

Il ritratto del presule che negli anni Ottanta fu un nemico dei camorristi in casa loro, nel volume di Pietro Perone - che esce a cinque anni dalla sua morte -, è scolpito a tutto tondo.

Un uomo capace di muovere le folle come nella marcia Somma Vesuviana - Ottaviano del 17 novembre dell'82 che segnò probabilmente un punto di non ritorno nella lotta alla camorra ed una presa di coscienza e di responsabilità collettiva del fenomeno malavitoso. «Io ho scelto di essere un uomo libero, non so voi», diceva Riboldi. Ed era un richiamo alla responsabilità.

Riboldi aveva mosso i cuori e le menti, dei giovani per prima, costruendo una rete dentro alla quale ha agito il movimento anticamorra. Erano i ragazzi che si riunivano nel cortile del liceo di Ottaviano, che marciarono in diecimila con Luciano Lama e i vescovi Riboldi e Costanzo. La riflessione di Perone parte da quegli anni che visse da protagonista e poi da cronista. Cosa è rimasto di quell'impegno corale sorto dall'impegno di don Riboldi? Poco o niente se si mettono in fila i fatti: i comuni dell'area vesuviana commissariati per infiltrazioni; la drammatica storia della terra dei fuochi e dello smaltimento illegale dei rifiuti; il rosario di morti ammazzati, gente comune, amministratori pubblici. Perone ha continuato a testimoniare raccontando la storia del pastore Cannavacciuolo che pascolava il gregge tra Alfa Sud e Montefibre, dove poi fu costretto ad andar via o alla giovane Vincenza, prima vittima dell'inquinamento, che vagheggiò un ospedale pediatrico. Un ospedale che Don Riboldi sognò fino all'ultimo, ristoro per le terre che furono degli uomini di Sandokan.
Don Riboldi, sacerdote rosminiano, si era formato nel Belice. All'indomani del terremoto del 68 con i suoi parrocchiani di Santa Ninfa marciò su Roma per chiedere interventi e un futuro per il suo popolo. «Ci inventammo tante strategie, non ultima quella del fare portavoce dei nostri diritti cinquanta bambini delle scuole elementari e medie. Fu un urlo che scosse l'opinione pubblica», raccontava.

Perone era uno studente di liceo quando con il suo amico Tommaso Esposito, erano i giovani leader del movimento studentesco, cercò Riboldi per organizzare un corteo: un avvocato, Antonio Mangiarulo, era stato ucciso alla stazione del paese, una violenza intollerabile. Poco prima era stato ammazzato il consigliere comunale del Pci di Ottaviano Mimmo Beneventano.
Partì la marcia di quei giovani, il vescovo diede loro fiducia. E si trattava di marciare sotto gli occhi degli uomini di don Raffaele Cutolo.

Il prete che aveva conservato l'accento della Brianza, anche quando andò in pensione continuò a scuotere le coscienze sul web postando dal convento di dei domenicani di Acerra diventato «casa dell'umana accoglienza. Era arrivato nel 78 nella diocesi rimasta vacante per 12 anni, e per 21 anni ha guidato non solo la Chiesa acerrana ma le coscienze di tutto il Sud.

Del volume «Don Riboldi. 1923-2023. Il coraggio tradito», edizioni San Paolo discuteranno oggi al circolo della stampa, alle 17.30, con l'autore e il vicecaporedattore de Il Mattino Aldo Balestra, il vescovo di Avellino Arturo Aiello, il deputato Gianfranco Rotondi e il presidente della Provincia Rizieri Buonopane.

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