Greco, la storia oltre Tufo

Ritorno alle origini, quelle degli avi che probabilmente hanno regalato all'Irpinia uno dei più grandi bianchi dello Stivale

La produzione
La produzione
di Annibale Discepolo
Mercoledì 8 Febbraio 2023, 08:49 - Ultimo agg. 08:53
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Ritorno alle origini, quelle degli avi che probabilmente hanno regalato all'Irpinia uno dei più grandi bianchi dello Stivale: il Greco. Di Tufo? D'uopo il punto di domanda, ma Ferrante di Somma, patron di Cantine di Marzo, monumento di straordinaria, intrigante bellezza per il fascino che sprigiona, questo dubbio ha provato a spiegarlo, radiografando il possibile legame tra il Greco di Tufo, uva alla base della celebre docg made in Irpinia e il comune napoletano di San Paolo Bel Sito.

E questo, grazie ad un interessante incontro conclusosi con una degustazione di due cru riserva della storica e più antica maison in Irpinia: Vigna Serrone e Vigna Laure 2020, presso la storica Villa Montesano, cui hanno partecipato il sindaco di San Paolo, Raffaele Barone col consigliere Aniello Sabatino, Vincenzo Mercurio, consulente in viticultura ed enologia e Premio Giacomo Tachis, Oscar del Vino 2022, Antonella Monaco, esperta in ampelografia, Ernesto La Matta, delegato Ais Vesuvio e Daniele Antignani di Villa Montesano.

Dunque, da San Paolo Belsito alla località San Paolo di Tufo, collina ove insistono alcuni dei vitigni di questo Greco al centro dell'attenzione e, diciamocelo pure, della curiosità che esso da sempre genera, per parlare con plausibilità delle origini del Greco di Tufo quello di San Paolo Belsito che Scipione di Marzo, antenato di Ferrante e fondatore della maison, lasciò tra nel 1648, per sfuggire ad una epidemia di peste. Approdò a Tufo, portando con se barbatelle da piantare. Ed ecco entrare in gioco la plausibilità che si basa su documenti scritti. «Il problema è che in quelli medioevali è rarissimo trovare di questa uva - ricorda Ferrante di Somma - in alcuni documenti del 500 di Sante Lancerio, imbottigliatore di papa Paolo III Sarnese, si parla del Greco del Vesuvio, di Torre Annunziata, di Posillipo, Ischia e Nola: perché?

Sfatiamo che il vitigno sia arrivato dalla Grecia, l'unico dato, consultando antichi registri, è che nel medioevo il vino Greco era il bianco, mentre il Latino era il rosso. La specifica del primo è che lo si produceva in una zona dell'Italia bizantina ove si faceva appassire l'uva sui tralci, operazione che consentiva una conservazione lunga del prodotto e quindi anche di esportarlo. Dal nolano arrivava al porto di Napoli, poi a Livorno per essere quindi spedito in tutto il Paese e da qui in Francia e fino a Costantinopoli». La nota divertente prosegue Di Somma, è che Sante Lancero sosteneva che «il miglior Greco fosse quello del Vesuvio (anche di Somma Vesuviana), mentre il peggiore, quello di Nola - insieme all'Asprino di Aversa che ha geneticamente lo stesso vitigno del Greco - quello che plausibilmente ha portato Scipione di Marzo in Irpinia.

Ma perché scadente? «Con la tecnologia medioevale, era difficile lavorarlo, in quanto occorre una totale assenza di ossigeno ed a tal proposito, Mercurio tra i migliori enologi d'Europa, ha confermato che un'uva con bucce molto carica di catechine che colora il mosto, che deve essere in assenza totale di ossigeno, allora dava un vino scuro e molto rozzo». L'ipotesi di Ferrante è che «il Greco ben si adatta a qualsiasi tipo di terreno e la formula più plausibile è che Scipione nel 600 per questo lo abbia portato con se in Irpinia. Esaminiamo, accettiamo contro ipotesi, discutiamone rimarca Di Somma - la verità viene sempre a galla, deve essere così per tutto, anche per i vini». E a proposito di vini, indiscusse piacevolezza e suadenza di tre Greco: i cru Ortale, Serrone e Laure (circa 5000 le bottiglie prodotte di ogni varietà), i cui nomi, sono un omaggio alle vigne in cui si producono (tutte a Santa Lucia, tranne Laure, allevate a San Paolo).
 

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