Il magistrato che ha accusato i boss
«Faida Graziano-Cava è più forte»

Il magistrato che ha accusato i boss «Faida Graziano-Cava è più forte»
di Gianni Colucci
Sabato 3 Agosto 2019, 11:17
3 Minuti di Lettura
«È una camorra che fa autolesionismo. Un'atavica voglia i vendetta che va oltre l'interesse del business criminale. Quando ti uccido il padre, il fratello; tu rispondi uccidendo, madri e mogli». Francesco Soviero, per anni magistrato di punta della Dda impegnato nelle maggiori inchieste sulla camorra in provincia di Avellino, disegna un quadro inquietante dopo gli arresti dei vertici del clan Graziano a Quindici.

 
Gli arresti hanno sventato una nuova strage?
«Avrebbe potuto esserci. Ho fatto processi in cui alcuni dei personaggi oggi coinvolti furono condannati, il maxi processo in cui i Graziano furono condannati per associazione rivelò anche il carattere delle persone».
Qual è l'elemento caratteriale?
«Che una faida di questo genere non si sopisce».
Quindi?
«Può portare ad un'esasperazione, man mano che i protagonisti vengono scarcerati»
Comincia tutto con la strage delle donne?
«No, quello fu l'acme. C'erano stati gli omicidi dei padre di Biagio Cava, l'agguato a Felicione Graziano. Le stesse modalità furono indicative dell'odio atavico, che esisteva tra i clan»
Ad esempio?
«Biagio Cava uccise Eugenio Graziano sparandogli al volto. Sfigurare i volti delle vittime, anche se non necessario, è il segnale del disprezzo. Siamo nel medioevo, da questo punto di vista».
In sostanza anche se altro sangue danneggerebbe gli affari criminali, aumentando i controlli delle forze dell'ordine, non si ferma?
«Non si ferma, finanche se potessero esserci un intralcio degli interessi dei clan. Gli omicidi in questi casi non hanno lo stesso significato e le stesse finalità di quelli che avvengono a Napoli».
Cioè?
«Se nella città gli omicidi si fanno per controllare le piazze di spaccio, dove lo spaccio è ridotto ci si muove per motivi anche diversi e qui prende piede la vendetta personale tipica della faida della camorra rurale».
Una camorra arretrata quella irpina?
«Con una storia di famiglie che atavicamente sono avversarie e che condiziona lo scenario. Quando si è coinvolti si perdono tutti i freni e anche danneggiare l'affare criminale non è un freno. Quindi si va avanti nella logica di vendetta e basta, anche se converrebbe la pace per fare affari».
La fine della pena da scontare per Cava jr ha coinciso con l'escalation?
«Chi fa il camorrista quando viene scarcerato non è che si mette a lavorare onestamente, prosegue nel solco. Ma man mano anche altri personaggi delle due famiglie sono scarcerati, il territorio torna ad essere affollato di presenze di peso. La presenza di Cava non è stato l'elemento scatenante, l'inchiesta potrà chiarire».
Anche Vincenzo, il padre di Mazzocchi, marito di Rosaria Graziano, morì in un agguato. Non si risalì a mandanti ed esecutori. Un'altra morte da vendicare?
«Ne parlò un collaboratore d giustizia, è immaginabile che anche in quel caso una persona che non c'entrava assolutamente nulla fu colpita per il solo fatto di essere un collaterale».
Il rumore dell'inchiesta di oggi e l'eco di una recrudescenza della faida, danneggerà gli affari dei clan?
«Loro sono meno impegnati nello spaccio e più nell'infiltrazione in appalti e pubblica amministrazione come abbiamo dimostrato in questi anni di indagini. La droga è ben poca cosa dato il numero minore di consumatori rispetto a Napoli. Qui la camorra fa affari con cemento e appalti tra Avellinese e Nola. Ma l'onore vale su tutto».
I manichini per esercitarsi?
«Una messinscena macabra, un segnale dell'arretratezza, della subcultura in cui si sviluppa la criminalità nel Vallo».
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