Impianti per l'umido Confindustria
dice sì ma frena su Chianche

Impianti per l'umido Confindustria dice sì ma frena su Chianche
di Alessandro Calabrese
Mercoledì 20 Novembre 2019, 08:49
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«Un impianto ben fatto sul territorio può essere un'occasione di sviluppo, occupazione e contenimento dei costi. Noi puntiamo a dimezzare le spese per il trattamento dell'umido. Per fare questo bisognerebbe calibrare la struttura per quelle sono le quantità di organico prodotto, così da realizzarne una sola ed usufruire delle relative economie di scala».

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Il presidente di Confindustria Avellino, Pino Bruno, introduce così il tema del convegno «La gestione dei rifiuti: trasformazione e risorsa per il territorio». Un confronto aperto sul riciclo e il riuso dei rifiuti, a fronte di un'impiantistica ancora carente sia in Irpinia che nel resto della Campania, partendo da un dato preciso: portare negli impianti del Nord la nostra frazione organica costa 220 euro a tonnellata, trattare il quantitativo sul posto consentirebbe un risparmio di circa 15 milioni all'anno. Al tavolo dei relatori, il presidente della Provincia Domenico Biancardi, quello dell'Ato rifiuti irpino Valentino Tropeano, la presidente regionale di Legambiente Maria Teresa Imparato, il vice governatore Fulvio Bonavitacola e il presidente di AssoAmbiente Chicco Testa, esperto di servizi pubblici locali e manager di lungo corso. Inevitabile, da parte del padrone di casa dover trattare, anche a margine dell'incontro, il tema biodigestore di Chianche. «Le nostre riserve spiega Bruno si legano al fatto che un impianto del genere in un contesto di altissimo pregio qual è l'areale del docg del Greco di Tufo porterebbe dei danni a livello commerciale e di immagine, inoltre non andrebbe a soddisfare lo smaltimento delle quantità prodotte. A che serve realizzare una struttura che non riesce a trattare tutto l'umido prodotto? Meglio, dunque, l'opzione Savignano o comunque una sede che consenta di non utilizzare altro suolo e, nel massimo rispetto dell'ambiente, riconvertire stabilimenti industriali dismessi».

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Due le considerazioni subito emerse dai diversi contributi: i rifiuti sono una risorsa e come tale vanno considerati e il timore degli impianti si regge su una disinformazione generale. «È il tempo del coraggio e delle scelte difficili afferma Imparato per bloccare questo turismo dei rifiuti con le spedizioni verso il Nord d'Italia. Una pratica che insieme allo stoccaggio indiscriminato ha lasciato spazio alle ecomafie. Se non apriamo impianti che trattano l'organico e producono compost e biometano non ha senso fare una raccolta differenziata di qualità. Bisogna parlare con i cittadini, gli imprenditori e gli amministratori e spiegare che non comportano rischi. Non c'è un sito giusto e uno sbagliato, alla base ci devono essere impianti fatti bene e noi solo questo dobbiamo controllare anche quando vanno in funzione».
Da Tropeano, poi, l'annuncio che a breve sarà presentato il piano industriale dell'Ato che «punterà sul rispetto ambientale e l'incentivazione del compostaggio domestico, per abbattere il quantitativo di organico da trattare. Nessuna preclusione su Chianche o altri siti ma la certezza che siamo vicini alla soluzione dei problemi». Mentre Biancardi candida la Provincia al ruolo di coordinatrice dei singoli Comuni e mette a disposizione dell'Ato il know-how di IrpiniAmbiente nell'ottica di «migliorare i servizi alla collettività, al di là delle posizioni politiche». A strigliare i sindaci che non si accordano sulla sede di un impianto di compostaggio, invece, ci pensa Bonavitacola: «Serve un modello concreto che vada dalla differenziata alla dimensione partecipativa, passando per gli impianti e le responsabilità locali. Non sta alla Regione dire dove realizzare gli impianti ma questi devono essere realizzati superando fobie e mancanza di comunicazione».
La chiusura è affidata a Testa. «Avellino sconta una grande differenza tra rifiuti prodotti, anche differenziati, e la scarsa presenza di impianti che dovrebbero trattarli. Se non colmiamo questo gap e continueremo a portare i rifiuti altrove alimenteremo un aumento considerevole dei costi che pesa sulle tasche dei cittadini. Gli impianti sono innocui e solo in Italia c'è questa sindrome cavalcata da finti ambientalisti. La metà sono eletti del M5S, ex portavoce dei comitati No Triv, No Tav, No Tap, no discariche e no inceneritori».
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