Isochimica, la moglie dell'operaio:
«Io, malata per lavare la sua tuta»

Isochimica, la moglie dell'operaio: «Io, malata per lavare la sua tuta»
di Rossella Fierro
Sabato 27 Ottobre 2018, 12:00
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«Eravamo convinti di aver toccato il cielo con un dito, invece è stato l'inizio di un incubo chiamato Isochimica».

Rosaria Azzarello è la prima vittima della cosiddetta «esposizione da marito» a deporre in aula nell'ambito del processo Isochimica. Affetta da patologia asbesto correlata, Rosaria non ha mai messo piede nella fabbrica killer di Borgo Ferrovia: la sua unica «colpa» è stata quella di toccare, scrollare e lavare i panni da lavoro di suo marito Michele Aversa, dipendente Isochimica spa dal 1983 al 1989, anche lui malato. Tanto le è bastato per ritrovarsi oggi con 1100 particelle di asbesto nei polmoni. È quanto ha confermato dinanzi al collegio presieduto dal giudice Sonia Matarazzo durante l'udienza tenutasi, come sempre, nell'aula bunker del carcere di Poggioreale a Napoli.

Ad interrogare la donna il procuratore Rosario Cantelmo per un'escussione breve ma toccante. «Io e Michele ci siamo sposati nel 1980, appena diciottenni. Quando tre anni dopo lui fu assunto all'Isochimica, pensavamo di aver toccato il cielo con un dito. Credevamo che quel lavoro avrebbe significato per noi la svolta economica, invece è stato l'inizio di un incubo che, per quanto mi riguarda, si è presentato in tutta la sua crudeltà nel 2006». È in quell'anno infatti che Rosaria deve sottoporsi ad un intervento presso una struttura sanitaria senese. Tra un esame e l'altro, i medici si rendono conto che i suoi polmoni sono completamente irradiati. Scatta così il primo campanello d'allarme: «Tornata a casa, a Salerno, mi sottopongo ad una broncoscopia per capire cosa avessero i miei polmoni - ricorda - da lì mi rispediscono a Siena per una biopsia in fibroscopia polmonare e un lavaggio broncoalveolare. È così che ho scoperto di avere una sarcoidosi polmonare asbesto correlata al terzo stadio. In tutto gli stadi della mia malattia sono quattro».
 
Ogni sei mesi la moglie dell'ex operaio Isochimica, deve recarsi a Siena per sottoporsi a cure specifiche e contestualmente deve osservare una terapia cortisonica quotidiana, l'unica in grado di alleviare le conseguenze di una capacità respiratoria ormai compromessa. «Non ho mai frequentato luoghi in cui, almeno per quanto di mia conoscenza, fosse presente amianto. Né svolto lavori pericolosi, prima ero impiegata presso l'associazione notarile, adesso faccio l'amministratrice di condominio. Lavavo però i panni da lavoro di mio marito: nei primi anni di attività andava in fabbrica con indumenti civili, poi gli fu fornita una tuta blu che riportava a casa. Anche lui oggi paga le conseguenze di quel lavoro, ha le placche pleuriche e speriamo che almeno la sua condizione di salute non peggiori».

Vittima dell'Isochimica pur non avendo mai avuto nulla a che fare con quella fabbrica, come conferma nel rispondere a domande specifiche sulle modalità di lavoro e sulla destinazione dell'amianto scoibentato nei capannoni di Borgo Ferrovia: «Nessuno ha mai avvertito mio marito dei pericoli che correva. Dell'amianto so solo, dai racconti di Michele, che veniva raccolto e poi imbustato, ma non ho mai visto dove e come veniva smaltito». Una condizione, quella della signora Rosaria Azzarello, che conferma quanto sostenuto dalla comunità scientifica, e cioè che anche chi non ha mai vissuto in un luogo contaminato da amianto, come appunto le mogli, i figli, i genitori degli ex operai Isochimica, può aver sviluppato patologie correlate all'asbesto per aver inalato le fibre depositatesi sugli abiti o nei capelli dei propri congiunti. E così, anche la documentazione medica della donna, proprio come quelle del marito e degli altri dipendenti di Elio Graziano, sarà depositata dal suo legale, l'avvocato Antonio Petrozziello, agli atti del maxi processo all'amianto dell'ex opificio di Borgo Ferrovia.
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