Addio a Montuori, l'autista eroe
che salvò la vita al giudice Gagliardi

Addio a Montuori, l'autista eroe che salvò la vita al giudice Gagliardi
di Bianca Bianco
Martedì 25 Giugno 2019, 12:00
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Addio all'eroe dimenticato. Stefano Montuori, l'autista che 37 anni fa rimase vittima di un attentato insieme al giudice Antonio Gagliardi, è spirato ieri nella sua abitazione di Baiano dopo avere perso la sua ultima battaglia. Non una battaglia di carte bollate e riconoscimenti negati, stavolta, ma quella contro una malattia più implacabile della burocrazia.
 
Immobilizzato da alcuni anni a causa della Sla, killer lento e devastante che lo costringeva a letto e aveva ridotto i suoi contatti col mondo a quello sguardo rimasto comunque sempre lucido e combattivo, Montuori ha dovuto arrendersi ad una sorte inesorabile. Unica consolazione, quel tardivo, quasi inutile riconoscimento da parte dello Stato per il ruolo avuto e i danni subiti in quel tragico 13 settembre del 1982. Un premio arrivato nel 2017, trentacinque anni dopo l'attentato, quando la sindrome di Lou Gherig lo aveva già colpito e il suo caso era finito alla ribalta delle cronache nazionali grazie ad un servizio de Le Iene. Nel 1982 la malattia che ne ha divorato la vitalità anno dopo anno non sembrava ancora scritta nel suo destino. Si sarebbe drammaticamente palesata solo anni dopo, quando ancora chiedeva giustizia per quello che a ragione riteneva un torto da parte dello Stato di cui era stato servitore fedele e silenzioso. Le cronache di quel sanguinoso episodio sono note: nel settembre dell'82 era l'autista dell'allora procuratore della Repubblica di Avellino Antonio Gagliardi che in quel periodo si occupava delle indagini sulla Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo. Una guerra in pieno svolgimento. Le intuizioni investigative di Gagliardi dettero la stura ad una inchiesta che in seguito avrebbe portato alla sbarra colletti bianchi e imprenditori dell'Irpinia, allora ancora considerata isola felice. Un impegno professionale coraggioso, che poteva costare la vita a lui ed al suo autista che il 13 settembre erano in viaggio verso Avellino. Lungo la Statale Appia, a Monteforte, furono raggiunti da un commando che avvicinò la vettura: Montuori tentò di speronare l'auto dei sicari finendo poi in una cunetta; raggiunti da una mitragliata di colpi, scamparono miracolosamente all'agguato fingendosi morti.

Il magistrato fu insignito della medaglia d'oro al valore, Stefano invece ancora combatteva contro la burocrazia per vedersi riconoscere il merito di quella valorosa azione. Non poteva ricevere medaglie ed indennizzi perché aveva una lontana parentela con una persona appartenente alla criminalità organizzata: un cavillo insostenibile per chi per anni aveva servito le istituzioni. La svolta arrivò nel 2017 grazie aLe Iene che raccolsero il suo racconto quando era già seriamente provato dalla Sla ma non rinunciava a gridare al mondo l'assurdità della propria situazione.

La giustizia, crudele nella sua lentezza, è arrivata solo due anni prima che spirasse e solo grazie ad una sentenza del Consiglio di Stato. Montuori, scrissero i giudici di Palazzo Spada, non aveva niente a che fare con il mondo della criminalità, anzi lo combatteva dalle retrovie, silenziosamente. È stato riconosciuto eroe dopo troppi anni. Fino alla fine l'eroe dimenticato ha chiesto quanto gli spettava, supportato dall'affetto della sua famiglia, dalla solidarietà del suo paese e dai continui attestati di stima del magistrato cui salvò la vita durante una terribile mattina di settembre di trentasette anni fa.
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