Piscina Avellino, la Polisportiva Cesaro
batte cassa: «Sei milioni per andar via»

Piscina Avellino, la Polisportiva Cesaro batte cassa: «Sei milioni per andar via»
di Flavio Coppola
Domenica 30 Agosto 2020, 13:00
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«Il Comune di Avellino continua a fare orecchie da mercante. La revoca anticipata della concessione per la Piscina comunale determina il diritto della Polisportiva Avellino ad avere un indennizzo. Tra l'altro già quantificato tra i 5 e i 6 milioni di euro».

L'avvocato del gestore del Centro sportivo di via De Gasperi, Giuseppe Ferrara, non usa giri di parole. Ora è chiaro quale sia, al di là degli annunci e dei tatticismi, il vero nodo che tiene in ostaggio la grande struttura avellinese chiusa ormai da marzo. Ferrara fa sapere che, «la prossima settimana, i vertici della Polisportiva assumeranno la decisione sul da farsi». Restare o lasciare? Intanto, l'avvocato chiarisce un aspetto dirimente dell'estenuante partita a scacchi tra l'ente di Piazza del Popolo e l'associazione ritenuta riconducibile al Gruppo Cesaro, raggiunta nel 2018 da interdittiva antimafia. «Bisogna distinguere premette C'è un profilo pubblicistico, inerente all'interdittiva, che in questi casi porta alla decadenza della concessione». E non a caso, l'ex commissario Priolo l'ha stralciata più di un anno fa. «Ma c'è anche un profilo economico aggiunge su quale il Comune continua a non rispondere». Quale? «L'impianto risulta di proprietà superficiaria della Polisportiva, in virtù di un atto pubblico. E la legge antimafia, che consente ai Comuni di revocare le concessioni, prevede un indennizzo a favore del concessionario, se l'impianto è stato realizzato a sue spese e il corrispettivo è la sua gestione». Una questione, ovviamente, di soldi. L'avvocato Ferrara, quindi, prosegue: «Il Comune vuole la struttura, questo è chiaro, ma non offre alla società nemmeno un euro. Mentre la logica del buon padre di famiglia imporrebbe che si facesse carico di ragionarne». Il messaggio è inequivocabile.

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L'obiezione più immediata al ragionamento del legale, però, è che, la «Polisportiva» deve all'ente oltre 2 milioni di euro. Come corrispettivo delle rate mai pagate al Credito sportivo proprio per realizzare quel bene di cui si ritiene proprietaria. Un debito certo per il Comune, che aveva garantito nel project financing, al punto che è stato inserito nei bilanci. Ma il legale, anche qui, replica: «Non solo non è vero che la Polisportiva non ha mai pagato una rata. Ma va anche spiegato che il gestore aveva ottenuto dal Credito sportivo una dilazione ulteriore. Ma non è potuta partire solo perché il Comune non l'ha approvata». Ciò detto, Ferrara non nega il debito e apre: «Per onestà intellettuale, anche questo aspetto dovrebbe entrare in un ragionamento generale sul corrispettivo che spetta al gestore. Non c'è dubbio chiosa che la Piscina sia un bene importante per la città di Avellino. Ma se il Comune la vuole 15 anni prima e intende incassare risorse dandola in gestione, è giusto che paghi. O siamo agli espropri proletari».

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Insomma, contrariamente a quanto trapela da Piazza del Popolo, la telenovela si preannuncia ancora estenuante. Non solo il Comune non ha mai fatto partire quell'ordinanza di sfratto più volte annunciata. Ma ora si scopre che la Polisportiva la impugnerebbe subito opponendo queste argomentazioni. Si attendono le mosse del responsabile unico del procedimento, il comandante della Polizia municipale, Michele Arvonio. Mentre nulla si sa neppure del bando, stavolta a cura del settore Patrimonio, diretto da Luigi Cicalese, che avrebbe dovuto invitare i sei gestori interessati a subentrare, a presentare un'offerta. Un pasticcio amministrativo enorme, insomma, che ancora si aggrava tra silenzi e ottimismi ingiustificati. Come quello per cui la Polisportiva avrebbe dovuto lasciare la Piscina per la fine dello scorso mese di luglio. In uno scenario poco rassicurante, il braccio di ferro in atto da 2 anni sta penalizzando pure i 30 dipendenti del centro.

In attesa degli arretrati dalla Polisportiva Avellino, non possono accedere nemmeno alla cassa integrazione, perché il gestore non gli firma almeno non lo ha fatto ancora il verbale. Una guerra su più fronti insomma, che pero ora vede tutti sconfitti. 

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