Terremoto Irpinia, la ricostruzione infinita:
20mila pratiche ancora ferme in Regione

Terremoto Irpinia, la ricostruzione infinita: 20mila pratiche ancora ferme in Regione
di Generoso Picone
Martedì 23 Novembre 2021, 07:00 - Ultimo agg. 24 Novembre, 14:13
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Quarant'anni non sono bastati. Forse nemmeno 41 e chissà per quanti ancora si avrà a che fare con il fascicolo della ricostruzione delle aree colpite dal terremoto del 23 novembre 1980. Se soltanto qualche mese fa il governo ha stanziato 100 milioni di euro per smantellare la baraccopoli realizzata a Messina dopo il disastro del 28 dicembre 1908 e dunque a 103 anni di distanza si tenterà di cancellare una vergogna internazionale, per chiudere il capitolo che riguarda 72 centri della Campania sparsi tra le province di Avellino, Salerno, Napoli, Benevento e Caserta occorrerà attendere ancora. Certo, gli interventi sono residuali e riguardano il 6 per cento del totale del patrimonio edilizio interessato, circa 20mila richieste di contributo a cui si aggiungono le poche migliaia della Basilicata: 120 milioni di euro che per altro sono previsti dal bilancio di Palazzo Santa Lucia, quindi pronti per venire erogati e mettere il punto a una storia che è durata già troppo a lungo. Una vicenda che scorre come il nastro di Moebius, il simbolo che rappresenta l'infinito, e racconta anche le realtà parallele conservate dalle due bande e nelle pieghe della curva a 8 consegna pesanti e inoppugnabili verità: una curva ad 8, la «lemniscata» degli antichi latini, di 50mila miliardi di vecchie lire, giusto per ricordare il conto stilato dalla Commissione parlamentare d'inchiesta che nel 1990 operò sotto la guida di Oscar Luigi Scalfaro. Ma bisognerà attendere che il funzionario della Regione Campania, cardine dei lavori dell'apposito organismo di amministratori locali insediato per smaltire la pratica, venga sostituita dopo essere andata in pensione. Da luglio non è successo. «Ormai abbiamo perso i contatti con i proprietari delle case, sono morti o andati via, gli eredi non hanno interesse a utilizzare i fondi», confessa Rosanna Repole, già sindaco di Sant'Angelo dei Lombardi dai giorni della primissima emergenza e oggi componente del gruppo di lavoro. 

 

Burontocrazia.

La verità è che i terremoti sono sempre infiniti. Quasi per definizione. Scaricano la loro energia devastatrice in una manciata di secondi, seminano distruzione e morte nello spazio di un attimo. Poi si apre il tempo del dopo, dell'affannato recupero di un equilibrio, della disperata ricerca di una nuova forma di vita: è qui che prende a snodarsi una linea che assume le caratteristiche dell'indeterminatezza, prende un'articolazione quasi metafisica che sfugge a ogni misurazione umanamente sopportabile, si proietta direttamente verso l'eternità. Gli anniversari servono soltanto per verificare il suo stadio di progressione. 

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Il 23 novembre 1980 una scossa di magnitudo 6,9, intensità del decimo grado della scala Mercalli-Cancani-Sieberg, quella che segnala la completa distruzione, colpì un'area che dall'Irpinia andava all'alto Sele nel salernitano e alla Basilicata, epicentro la Sella di Conza durò 90 secondi e provocò 2.914 vittime, 8.848 furono i feriti, 280mila gli sfollati, crollarono completamente 77.340 case e 275.260 vennero gravemente danneggiate. Interi paesi rasi al suolo: Conza della Campania, Calabritto, Sant'Angelo dei Lombardi, Laviano, Lioni, Balvano, Santomenna, Senerchia, San Mango, Teora e altri ancora. Il più grave disastro in tempo di pace che in poche battute si sia verificato nell'Italia repubblicana. Un dramma le cui conseguenze sono destinate a restare indelebili e incancellabili, fino ad annodarsi con quelle di altri traumi, che s'intrecciano e mettono in evidenza quanto si era provato a dimenticare: che fanno risaltare le debolezze, le contraddizioni, le inadempienze, gli sperperi, gli abusi, gli errori di una ripresa mai davvero compiuta. Ieri la catastrofe del terremoto, oggi la tragedia della pandemia. Ieri il programma della ricostruzione e dello sviluppo, oggi i progetti del Next generation Eu. In queste giornate di anniversario, in Irpinia sono tornati i volontari che per primi arrivarono a scavare tra le macerie. Succede da 41 anni. Il sindaco di Calitri, Michele Di Maio, ha accolto quelli di Bergamo e intitolerà un parco giochi a Campo Bergamo. L'anno scorso simile cerimonia a Lioni e a Sant'Angelo dei Lombardi, seppure in tono minore per le restrizioni del protocollo Covid-19. Ieri ad Avellino il ministro per il Sud, Mara Carfagna, ha partecipato a un affollato convegno organizzato da Confindustria Irpinia su «Le opportunità per lo sviluppo delle aree interne»: ha reso omaggio alla memoria del 23 novembre 1980 invitando a «ribaltare la visione risarcitoria e assistenzialista del Sud». Sullo sfondo, gli impietosi numeri di uno spopolamento progressivo che ha ridotto la provincia di Avellino a 405.963 abitanti, secondo i dati dell'Istat. In un decennio si sono persi 30mila residenze, è come se si fosse cancellata una cittadina. La malcelata preoccupazione che attraversava ogni speranzosa relazione riguardava l'insufficienza di personale qualificato per gestire i piani delineati, i giovani irpini laureati e qualificati sono andati via a concretizzare le loro ambizioni di vita e lavoro altrove. Oggi, alle 10 presso la Fondazione Banco di Napoli in via dei Tribunali, l'Università Federico II presenterà lo studio su Il terremoto del 23 novembre 1980. Luoghi e memorie: «Dopo il disastro, il ruolo dei fattori umani è ancora più forte se possibile perché essi condizionano le modalità di reazione, la scelta delle soluzioni tecniche e organizzative, la percezione del disastro, in una parola la resilienza di una comunità», spiegano i curatori Gabriella Gribaudi, Francesco Mastroberti e Francesco Senatore. Da parte loro, i ricercatori Sabina Porfido ed Efisio Spiga hanno documentato lo stato delle cose in un reportage dalla cifra scientifica e di eloquente significato. Con questa realtà ci si dovrà confrontare. In fondo, gli anniversari possono avere un senso soltanto a ricordarlo.

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