Covid, la resa di pizzerie e locali:
il record delle chiusure lampo

Covid, la resa di pizzerie e locali: il record delle chiusure lampo
Giovedì 11 Marzo 2021, 09:06 - Ultimo agg. 17:47
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Le difficoltà, in una realtà già devastata dalla crisi, in questo anno di emergenza pandemica non ha risparmiato nessuno, anche se il numero degli esercenti arresisi a causa del Covid in termini percentuali appare più basso rispetto ad altre città. «Semplicemente - spiega il presidente di Confcommercio Nicola Romano - perché già c'era stato un record di licenze cessate nei mesi a cavallo tra fine 2019 e inizio 2020, a causa di una crisi che ha origini più lontane rispetto al virus. Nel centro storico si è già verificata una ecatombe, testimoniata dal fatto che già prima del lockdown il 40% circa dei locali era vuoti. Il blocco degli sfratti che decadrà il 30 giugno sta frenando altre chiusure». In città, comunque, tengono botta quasi tutti i marchi storici anche se il commercio sta andando ko, in particolare quello dei piccoli esercizi o delle attività artigianali, come sostiene Gianluca Alviggi, leader di Confesercenti nel Sannio. «Non si sa se riusciremo a sopravvivere, in tanti sono in ginocchio in un clima di anarchia a livello di normative e non solo. Diversi commercianti hanno debiti con proprietari di locali e fornitori e nel contempo devono fare i conti con l'impossibilità di generare flussi di cassa». 

In città il conto più salato lo hanno pagato, in questo anno di pandemia, soprattutto attività come pizzerie, bar, attività di food e drink. La chiusura ha riguardato in particolar modo gli esercenti che avevano da poco aperto i battenti. Pagano il divieto di vita notturna, socialità e quindi il semi-deserto delle strade. Il quadro è allarmante. Tanti giovani che con piccole imprese artigiane speravano di trovare un'occupazione, sono di nuovo senza lavoro e per giunta con debiti da pagare. Emblematico il caso di Giuseppe Fallarino ex titolare della pizzeria «Out» in via Ruffilli nella zona Pacevecchia, chiusa dal primo lockdown e che ha dovuto abbassare definitivamente la saracinesca. «Era impossibile resistere perché tra debiti per acquisto banconi, frigoriferi, attrezzature varie, ristrutturazione locale per creare forno e fitti, non potevo farcela.

Avevo investito una cospicua somma a novembre 2019, poi a marzo dell'anno scorso la chiusura, dopo quattro mesi. Ho cercato di resistere facendo altri debiti, ma poi ho mollato, con lacrime di sangue. Tra l'altro sono in cerca di occupazione e come me tanti altri pizzaioli o operatori del settore visto che la ristorazione è sull'orlo del collasso. Quelli che hanno resistito sono in bolletta».

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Al rione Ferrovia, in particolare in viale Principe di Napoli, è stato pagato un duro prezzo con il fenomeno delle chiusure, ben 11, che ha coinvolto un negozio di surgelati, il panificio «Spiga d'oro», le pizzerie «L'Eden», «82cento» e «I Pentri», la trattoria «4 amici», la pescheria «Il Corallo», il «Bar Jolly», una cartoleria e il negozio d'abbigliamento «Affari d'oro». Anche Chang Fa Hu, cinese titolare di un bazar, non ha resistito: a gennaio ha dovuto chiudere, smentendo il luogo comune che i commercianti orientali hanno il requisito di essere resistenti e perenni. Chiuse le saracinesche del classico bazar di vestiario, arredi per la casa e altro è comunque rimasto in città per motivi familiari e con un perfetto italiano fa il punto della situazione. «Per strada non transitava nessuno - dice - la stazione è praticamente deserta. Nel negozio, per giorni interi, non entravano clienti. Impossibile continuare, avrei speso tutti i soldi messi da parte anche perché il Covid e le sue restrizioni non sono ancora scomparsi».

Al corso Garibaldi dopo il bistrot Dionisio ha abbassato la saracinesca lo storico negozio di abbigliamento di Nazzareno De Caro, punto di riferimento di tanti clienti del capoluogo e della provincia, anche se il figlio Angelo si è riproposto di riaprire, cosa che ha fatto New Style con Giuseppe Cacucci che ha preso il posto del padre Vincenzo cambiando però anche location. Chiusura definitiva per altri due negozi di abbigliamento («Camicia per tutti» e «Solo jeans»). «Abbiamo guadagnato di più chiudendo che restando aperti perché almeno abbiamo eliminato tutte le spese», dice Giovanni Izzo che era gestore del negozio di camicie. Nel cuore della città, da annoverare anche la chiusura della pizzeria «Orsini» e «Capriccio di pizza». Restando nel centro storico chiuso il sipario nella zona della movida per tre attività che vendevano cicchetti: «Solo vino», «Crash» e «Burg Beer».

Nella zona alta, al viale Atlantici, dopo circa 40 anni, ha abbandonato il «Bar 14b», mentre al viale Mellusi chiusura per due pizzerie al taglio e il negozio di parrucchiere «Creation Hair». Situazione stagnante al Rione Libertà dove non ci sono state attività che hanno chiuso anche perché una certa selezione già c'era stata prima della pandemia e le attività presenti resistono grazie a una clientela consolidata e in virtù di un budget di spesa meno impegnativo rispetto ad altre zone in particolare per i fitti che sono alla portata.
 

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