Genero e suocero uccisi in piazza
dopo la lite al bar a colpi di mazza

Genero e suocero uccisi in piazza dopo la lite al bar a colpi di mazza
di Mary Liguori
Lunedì 1 Aprile 2019, 07:00 - Ultimo agg. 16:55
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I rintocchi del quarto alle sedici hanno coperto le fucilate che hanno messo fine alla vita di Mario Morgillo e del genero, Andrea Romano. Un bagno di sangue nel piccolo comune di Durazzano, duemila anime incastrate tra le provincie di Benevento e Caserta. Lì dove Morgillo, agricoltore di Santa Maria a Vico, aveva trovato «rifugio» dopo essere stato arrestato col figlio, Gennaro, e poi mandato fuori provincia dal giudice. Ieri, alle quattro meno un quarto, Morgillo senior è morto per mano di Francesco D'Angelo, insieme al marito della figlia, Romano, camionista 49enne. Dopo che, pare, la vittima e suo genero gli avevano frantumato il lunotto del furgone a colpi di mazza. Prendersela con le macchine, peraltro, nel Sannio è cosa assai comune. Gli incendi di veicoli sono uno dei metodi più comuni di vendetta. Ma D'Angelo si era organizzato e poco dopo aver visto il vetro del Ducato finire in mille pezzi ha risposto. Con un fucile. Non c'è stato scampo per Morgillo e per suo genero. Una terza persona, forse il figlio dell'anziano, è riuscita miracolosamente a salvarsi. E quanto accaduto in piazza, a pochi passi da un bar e dal Municipio, è stato riscritto in meno di due ore dai carabinieri del comando provinciale sannita, diretto dal colonnello Alessandro Puel, coordinati dalla Procura di Aldo Policastro. Prima ancora che scoccassero le 18, due ore dopo il duplice omicidio, l'assassino aveva un nome e un volto. Ed è finito agli arresti.
 
Tutto è iniziato dopo pranzo. Quando le due vittime hanno incominciato a pedinare Francesco D'Angelo. Quest'ultimo, 52 anni, una vecchia denuncia per droga, si è accorto che Morgillo e il genero gli erano alle calcagna. Non è chiaro se sia riuscito in un primo momento a seminarli e sia andato a casa a prendere il fucile, oppure se se ne andasse in giro con l'arma nel cofano. Fatto sta che, giunti nella piazza del paese, i due che poi sono rimasti uccisi sono entrati in un bar, per poi uscirne e impugnare una mazza. E, a bastonate, hanno distrutto il furgone di D'Angelo che, a quel punto, ha imbracciato la carabina e ha fatto fuoco diverse volte andando a bersaglio sia su Morgillo che su suo genero. D'Angelo è fuggito, ma poco dopo ha fatto in modo da farsi trovare. I carabinieri del reparto operativo, con il colonnello Alfredo Zerella, lo hanno arrestato che mancavano pochi minuti alle 18. Ora c'è da ricostruire se ha premeditato l'agguato, ma anche se è stato costretto a difendersi. Non è chiaro, infatti, se oltre che di una mazza le vittime fossero armate anche di altro. E, ancora, i carabinieri devono stabilire cosa è realmente accaduto tra la famiglia di Morgillo e quella di Esposito. Ché, ovviamente, alla luce di una simile mattanza, un lunotto in frantumi, visti i precedenti per droga che accomunano i morti e l'assassino, sembra davvero poca cosa. Per ora il fascicolo resta alla Procura ordinaria, ma già ieri la Dda di Napoli è stata informata di quanto accaduto. Sarà l'evolversi degli accertamenti a stabilire se il duplice omicidio sia maturato per screzi maturati nel giro del narcotraffico o se invece ci sia dell'altro. Come, ha riferito qualcuno, un incidente stradale di un anno fa dopo il quale i Morgillo e i D'Angelo si sono denunciati a vicenda e hanno poi avuto una serie di litigi.

Storie di droga sono nel passato della più anziana delle due vittime dell'agguato di ieri, come in quelle del suo assassino. Storie che si spicciano quasi nell'indifferenza, che si sviluppano sottotraccia, in una zona sonnacchiosa, la Valle Caudina che, per la Dda, proprio in quella sua apparente estraneità alle dinamiche criminali dei grandi centri, è l'area privilegiata per portare i carichi di droga verso nord. Una rotta alternativa battuta sia dai cani sciolti che dalla gente dei clan. Con la «roba» incellofanata nascosta su furgoni che trasportano concimi e animali. Con la puzza e i gas del letame che spesso stonano anche le narici dei più esperti cani antidroga.

Mario Morgillo e il figlio Gennaro in qualche modo c'erano dentro fino al collo. Sono usciti di scena, dal Casertano, con lo scoppio di una bomba. Roba da clamore mediatico che li ha fatti balzare sulle prime pagine dei giornali. Il 19 settembre scorso al Parco Santa Lucia, area di edilizia popolare di Santa Maria a Vico, un ordigno ha fatto saltare la macchina del figlio della vittima. La Matiz fatta esplodere fu il «regalo» per l'onomastico di Gennaro, ventinove anni ma all'attivo precedenti per droga, rapina, violenza a pubblico ufficiale e, in quel periodo, detenuto ai domiciliari. Due giorni dopo l'esplosione, mentre i carabinieri ancora visionavano i filmati in cui si vedevano i due autori del raid, incappucciati, posizionare l'ordigno, il colpo di scena: a finire in manette non furono gli attentatori, ma i Morgillo, padre e figlio, arrestati per spaccio di droga. E fu chiaro a quel punto che l'esplosione si inquadrava in uno scenario complesso. Collegato ai grandi fornitori di droga e ai capipiazza che contano, ai quali i Morgillo avevano evidentemente pestato i piedi. Caivano e Secondigliano, la roba che circola nel Sannio viene dalle due grandi piazza napoletane. Ma ieri il conto lo hanno «pagato» nel Sannio.

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