Rosi, una vittoria parlando di migranti
nell'Europa che costruisce muri

Lunedì 12 Dicembre 2016, 20:55
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Il primo pensiero è per la gente di Lampedusa che da sola, ogni giorno, regge l'urto di una tragedia epocale. Raccontando in "Fuocoammare" i migranti e il loro viaggio della speranza, Gianfranco Rosi ha trionfato agli Efa, gli Oscar del cinema europeo, nel giorno che celebra i diritti umani. Una coincidenza di forte valore simbolico che il regista non manca di sottolineare, sul palco del premio e subito dopo, nel gruppo degli italiani in festa a Wroclaw, la città polacca capitale della cultura 2016. La statuetta in una mano, il cellulare nell'altra, Rosi chiama nel cuore della notte Pietro Bartolo, il medico dell'isola che tanta parte ha avuto nel film. Un «complice» di un'avventura straordinaria, un amico. «Pietrino volevo dirti che è andata bene, abbiamo vinto». Per partecipare agli Efa Rosi ha interrotto il lungo tour promozionale negli Stati Uniti, un lancio in vista degli Oscar che non ammette distrazioni. «Fuocoammare» è in corsa per il miglior film e il miglior documentario e a breve l'Academy deciderà le cinquine finali: per entrare nell'ambita rosa autori e produzioni non risparmiano le energie, come in una sorta di campagna elettorale.

È così Rosi?

«Sì, in un certo senso è così. Da due mesi sto girando l'America in lungo e in largo, e l'accoglienza è sorprendente. Evidentemente il nostro film risponde  a molte domande e ne pone altrettante, è diventato una metafora della frontiera e il Mediterraneo solcato dai barconi degli africani equivale al deserto attraversato dai messicani... Lo spaesamento e la paura sono gli stessi, mentre nel mondo si costruiscono barriere, si alzano voci di intolleranza contro i migranti e i governi dimenticano i loro doveri».

L'elezione di Donald Trump e la sua politica protezionistica hanno aggravato le preoccupazioni?

«Chi vuole costruire muri suscita sempre timori e vedere Trump nello Studio Ovale è stato per molti americani uno choc. Anche per questo è importante che Obama abbia detto all'Onu in un passaggio del suo ultimo discorso: 'Chi alza muri costruisce intorno a se stesso una prigione'».

Nello stesso tempo in Europa rispuntano i nazionalismi.

«L'Europa sta andando verso il populismo e in questo momento brilla per la sua assenza. Ho poche speranze che l'Unione riesca a risolvere i suoi enormi problemi, sono pessimista».

Che cosa la colpisce dell'accoglienza americana a «Fuocoammare»?

«L'ondata emotiva che accompagna le proiezioni. È bello che alla fine del film la gente si avvicini per chiedere: 'Cosa possiamo fare? Come possiamo rispondere a questa richiesta di aiuto? Qual è la nostra posizione? Ecco, è arrivato il momento di prenderci, ciascuno, la propria parte di responsabilità».

Ci sono momenti difficili, nella sua «campagna d'America»?

«La cosa più difficile è continuare a parlare del film, a partecipare agli eventi come se fosse ogni giorno la festa del mio matrimonio. Da quando abbiamo presentato 'Fuocoammare' al Festival di Berlino è passato quasi un anno, mi sembra che dentro di me cali come un sipario, poi arriva una recensione nuova, una domanda diversa e si aprono come d'incanto altre prospettive».

Quanto contano i premi, nella vita di un film?

«I premi si trasformano in esperienza, ma non basta mai. Ogni volta si ricomincia da zero».

Sta per ripartire con un nuovo progetto?

«Ho un'idea e ogni tanto cerco di metterla su carta. Sento l'esigenza di passare ad altro, anche se i personaggi delle storie precedenti non mi abbandonano mai, li porto dentro di me e li faccio vivere».

Racconterà ancora l'Italia?

«Dopo 'Sacro Gra' e 'Fuocoammare'? No, due documentari di seguito sulla società italiana sono già troppi».

Come spiega il successo dei documentari?

«È cresciuto l'interesse del pubblico per il cinema del reale e il linguaggio di questo genere di film si è fatto più cinematografico. I due discorsi vanno di pari passo e l'ho riscontrato in ogni parte del mondo. In America 'Sacro Gra' è rimasto nelle sale per due mesi e in Giappone, tanto per dire, è un cult movie. Quanto a 'Fuocoammare', l'hanno già comprato in 64 Paesi».

Eppure Paolo Sorrentino ha polemizzato sulla scelta di candidarlo all'Oscar per l'Italia.

«Su questo non posso rispondere, magari ha ragione lui, magari non entro nella cinquina finale».

Ìntanto si gode la vittoria agli Efa.

«Certo, e sento anche una grande responsabilità. Ci sono un anno e mezzo della mia vita, dietro questo film, e tanta sofferenza. Quando ho filmato la morte  non riuscivo più ad andare avanti... Non penso che il cinema cambi il mondo, ma sono convinto che storie come quella di 'Fuocoammare' possano cambiare la percezione della gente».

A chi dedica il premio? 

«All'isola di Lampedusa e ai suoi magnifici abitanti. Spero che la visibilità del cinema li aiuti a sentirsi meno soli».
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