Weinstein, Central Park
e la parità di genere

Mercoledì 8 Novembre 2017, 13:51
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Guarda un po’: proprio mentre scoppia, sulla scia del caso Weinstein, una nuova battaglia dei sessi e le donne, come dice Monica Bellucci, stanno «esplodendo» dopo decenni di rabbia e di paura, la parità di genere conquista il parco più bello di Manhattan. Tempismo perfetto. Laddove c’era posto solo per icone letterarie - Alice .nel Paese delle Meraviglie e Giulietta (senza Romeo) -, due statue di donne «vere» saranno innalzate a Central Park, finora club per soli uomini in fatto di monumenti storici. È un segno piccolo, ma è un segno: di attenzione, più probabilmente di preoccupazione, con l’aria che tira.

Tant'è che anche la scelta dei soggetti è stata un trionfo del politicamente corretto: le statue rappresenteranno due suffragette, per celebrare i cento anni del voto femminile nello stato di New York. Le signore designate, Elizabeth Cady Stanton e Susan B. Anthony, si fregeranno inconsapevolmente di un primato. Non è mai troppo tardi. Per la verità, di statue in onore di donne che si sono fatte valere se ne contano sulle dita di una mano in tutta la città, e non si può dire che New York sia una comunità sessista. Ecco perché, dopo la polemica sulle statue dei generali sudisti che ha aperto in tutti gli Stati Uniti il dibattito sui monumenti pubblici, la decisione dei responsabili di Central Park di dotarsi di marmoree quote rosa assume un certo valore simbolico. 

L'episodio la dice lunga sul clima che si respira, non solo in America, dopo lo scandalo delle molestie sessuali che ha coinvolto uno dei produttori più potenti, Harvey Weinstein, e uno degli attori più famosi, Kevin Spacey, allargandosi poi a macchia d'olio ad altri ambienti in una vertigine di rivelazioni,  tra ex agenti del Mossad, crociere a luci rosse nel golfo di Napoli, scoop internazionali e una minaccia sempre più concreta di incriminazione sul capo di Weinstein. Lo tsunami che ha travolto il mondo del cinema e ha investito subito dopo i palazzi della politica di diversi Paesi, ora dilaga: dalla Francia, con la denuncia del «vizietto» di cui farebbero le spese alcune aderenti del Front National, all’Inghilterra dove gli sporcaccioni sono salomonicamente divisi tra Tory e Labour, passando per l’Austria e l’Onu, con più di trenta denunce di abusi sessuali già depositate. Nessun ambito resta indenne dalle accuse vergognose: un’indagine interna alla Bbc ha rivelato, nelle ultime ore, 25 casi di molestie sessuali, un numero da record. Probabilmente ha ragione Eva Esner, l’autrice dei «Dialoghi della vagina»: è in atto una  rivoluzione e non farà prigionieri. Un mondo, di cui una certa Hollywood era l'epifenomeno, è finito per sempre. Ma i Weinstein sono ovunque e non c’è bisogno di andare fino in America per trovarli. 
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