Ars rottamandi

Ars rottamandi
Martedì 26 Giugno 2018, 13:01
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Ogni buona automobile dovrebbe durare
quanto un buon orologio
(Henry Ford, imprenditore statunitense)


Sfatiamo subito il luogo comune: la parola ROTTAMAZIONE, nell’accezione figurata di rinnovamento, non l’ha sdoganata Matteo Renzi. D’altronde, come spiegava in un articolo apparso su La Nazione dal titolo «Ma che bella parola. Peccato che sia abusiva» (2005) la linguista Maria Luisa Altiera Biagi, neppure i neologismi «sono quasi mai invenzioni totali; chi dà vita a una parola nuova sfrutta, di solito, una parola già esistente e applica ad essa le regole della derivazione, forgiando un nuovo derivato». E la Biagi, tra gli altri, faceva proprio l’esempio di «rottamare» (da «rottame»), «neologismo fortunato stabilmente insediato nei nostri vocabolari».

Il termine, preso in prestito dal mercato automobilistico, esprime bene l’idea di rinnovamento nel figurare l’azione di offrire alla concessionaria la vecchia auto per acquistarne un’altra di nuova generazione. Fin dall’edizione del 2004 la parola viene riportata dal Devoto-Oli, come ha ricordato nel 2012 la presidente dell’Accademia della Crusca Nicoletta Maraschio, puntualizzando che l’origine metaforica non sarebbe nata nel contesto politico: «Benché usata da anni anche in politica, la parola rottamazione in senso figurato è nata decenni fa all’università: il riferimento era a docenti le carriere dei quali erano state per qualche motivo stroncate prima del tempo. In gergo venivano appunto definiti rottamati».



Quanto sia stata lunga la genesi dell’idea rottamatrice di Renzi è difficile dirlo, seppure un valido e attualissimo contributo alla conoscenza del “renzese” arrivi dal volume fresco di stampa curato per Castelvecchi editore dal linguista, critico letterario e sociologo della comunicazione Massimo Arcangeli dal titolo «Il Renziario» che in una riuscita composizione grafica rimanda fin dalla copertina al celeberrimo vocabolario di lingua latina del Castiglioni e Mariotti. Qui, a beneficio dei più curiosi, riassumo l’indice per darvene una rapida idea: alla premessa di Arcangeli e al Renziario, un dizionario vero e proprio delle parole più utilizzate dal leader pd, seguono i contributi di Giulia Piras (La comunicazione renziana fra retorica e linguaggio del corpo), di Roberta Sias (Il “renzese” alla prova dei testi), di Michela Atzeni (La “voce” di Renzi, pragmatica di uno strumento), di Stella Aurisicchio (Un simpatico imbonitore: «Venghino signori, venghino»), di Andrea Marras e Tommaso Mocci (The social Renzi), di Alice Pucci e Giulia Piras (Comunicare coi gesti, gli abiti, le pose).

Dicevo: quanto sia stata lunga la genesi dell’idea rottamatrice del leader pd è difficile dire. Basti considerare che il pallino di rispedire a casa la vecchia politica, intesa come espressione dei maggiorenti democristiani, è per la prima volta documentato nel 1992 quando - come attesta un pezzo scritto nel 2014 da Aldo Cazzullo - il liceale Renzi a 17 anni firma un articolo sulla rivista mensile «Il divino» del liceo-ginnasio Dante di Firenze e scrive: «Forlani ha commesso molti errori, anche nella formazione delle liste, e dovrà passare la mano com’è giusto che sia per un segretario che perde il 5%. La Dc deve veramente cambiare, in modo netto e deciso, mandando a casa i Forlani, i Gava, i Prandini e chi si oppone al rinnovamento».



La contrapposizione vecchio-nuovo poi va avanti. Nel 2010 Renzi si presenta come il “rottamatore” del Pd insieme a Pippo Civati nella ex stazione ferroviaria della Leopolda per dare vita alla convention sotto lo slogan “Al passato grazie, al futuro sì”. E l’anno successivo, sul manifesto del Big Bang, ricorda Arcangeli, compare la scritta «I dinosauri non si sono estinti da soli». Per quanto siano in molti a contrattaccare (Guido Follini propone di rottamare la brutta idea della rottamazione, Deborah Serracchiani rilancia la necessità di costruire anziché di rottamare e Furio Colombo liquida le istanze del ricambio generazionale come una penosa perdita di tempo sul modello felliniano dei “vitelloni”) l’intento rottamatorio va avanti, perseguito con forza attraverso appropriate tecniche di linguaggio.

E’ emblematica una sottolineatura della giornalista Fabiana Di Cuia in un saggio edito dalla rivista Hermes dell’Università del Salento sulla comunicazione politica del leader pd. Ci si sofferma sul discorso di Renzi al teatro Obihall di Firenze: dopo il trionfo alle primarie del 2013 è la prima uscita pubblica del segretario del Pd. Ebbene, prima delle parole occhio al contesto. Annota Di Cuia: «Soppiantati anche gli inni storici della sinistra, come la classica Bandiera Rossa, con note pop in versione disco, a decibel assordanti: da I love it delle Icona Pop a La tua canzone di Negrita, per terminare con Ti porto via con me di Jovanotti; il passaggio dall’inno di identificazione alla colonna sonora, senza elementi di richiamo all’appartenenza, appare chiarissimo. L’atmosfera che si respira nella roccaforte renziana è più da convention statunitense che da comitato elettorale di un partito rappresentante la storia della sinistra italiana».



L’obiettivo è evidente: Renzi cerca sin dal suo debutto di incrementare la fiducia e l’entusiasmo in una storia nuova di cui si candida a diventare il principale interprete. E’ il turno poi delle parole, con le quali Renzi (o chi per lui) dimostra di conoscere bene le categorie elaborate dal linguista cognitivo e neuroscienziato statunitense George Lakoff. L’individuo, secondo Lakoff, pensa per metafore e queste sono così radicate nel profondo di ciascuno di noi che finiscono per strutturare il nostro modo di pensare (in questo ricorda molto la concezione della parola per Martin Heidegger). Scrive Lakoff citando il neuroscienziato Michael Gazzaniga: «La scienza della mente ha illuminato un vasto panorama di pensiero inconscio: il 98% dell’attività mentale ha luogo senza che ne siamo consapevoli: nella sua maggior parte il pensiero inconscio ha a che vedere con la politica». In «Pensiero politico e scienza della mente» (2009) Lakoff si spingerà fino a capire meglio le metafore che governano rispettivamente  il pensiero conservatore e quello progressista... A proposito: l’avete mai letto il gustoso «Non pensare all’elefante»? Ma sto divagando…

Ebbene, nel primo discorso da segretario Renzi gioca molto sulle metafore: «Tocca a una nuova generazione, che non farà a meno di una generazione più esperta. Tocca a noi guidare la macchina, tocca a noi che andavamo alle medie quando cadeva il muro di Berlino».

Ecco, guidare la macchina, dice Renzi. Il riferimento è scelto con cura. Perché nell’ambito di  uno stile pubblicitario con il quale spesso il leader pd - alla maniera di Silvio Berlusconi - ricalca strutture delle reclame e del marketing aziendale (l’asindeto «una persona, un curriculum, un candidato» rimanda inevitabilmente - rimarca Aurisicchio - allo spot per la tavoletta di cioccolato Ritter Sport «quadrato, pratico, buono») Renzi - o chi per lui - predilige spesso contenuti linguistici che rinviano all’advertising del mondo automobilistico, proprio a partire dall’emblematico “rottamare” ma anche dal più banale uso delle parole “nuovo/nuova” (come la nuova Panda o la nuova Toyota Yaris) oppure da quello della parola “ripresa”, comune anche in ambito politico economico. E qui è suggestiva la tesi della Aurisicchio (sempre in «Il Renziario»): «Il campo dei motori (al pari di quello calcistico) solletica l’orgoglio maschile, e una lingua che vi attinga ha dunque un impatto che va ben oltre il target degli appassionati del settore. Il coinvolgimento dell’universo femminile, per l’impianto discorsivo “virile” sotteso, è di contro assai debole nell’universo retorico renziano; un impianto la cui mascolinità è assicurata proprio dalla presenza del lessico automobilistico (e calcistico)».

Il resto è storia nota. Basterà ricordare di seguito qualcuna delle varie perle.

«Se vogliamo sbarazzarci di nonno Silvio dobbiamo liberarci di un’intera generazione di dirigenti del mio partito. Non faccio distinzioni tra D’Alema, Veltroni, Bersani… Basta. E’ il momento della rottamazione senza incentivi»
(29 agosto 2010, intervista a Repubblica Firenze)

«Capisco che i tacchini non manifestino grande entusiasmo per il Natale, e che qualche rottamando si sia risentito. Ma io parlavo di rottamazione delle carriere politiche, mica delle persone»
(5 novembre 2010, intervista al Corriere della Sera)

«I fiorentini costruiscono questo luogo (Palazzo Vecchio) come sede per i priori, carica elettiva che anche Dante rivestì e che scadeva ogni due mesi. Proprio così. A quei tempi la rottamazione era molto più apprezzata di oggi»
(Stil Novo, 2012)

corrado.castiglione@ilmattino.it
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