Elezioni e pentimenti, Casal di Principe e Casalesi. La nuova alba

Mercoledì 28 Maggio 2014, 15:16
4 Minuti di Lettura
Si respirava entusiasmo, allegria. Si respirava una voglia sincera di voltare pagina, nel giorno dello spoglio elettorale a Casal di Principe. Ci sono tornato ancora una volta, proprio allora: lunedì 26 maggio. Come tante altre volte, come quando ci fu il primo blitz Spartacus o fu arrestato il boss Michele Zagaria che, nel suo bunker-covo a Casapesenna, tra gli altri libri leggeva il mio "L'Impero dei Casalesi", che pubblicai nel 2008 con Rizzoli. Dopo quasi tre anni, Casale tornava alle elezioni comunali. Dopo tre scioglimenti per infiltrazioni camorristiche, dopo l'oppressione di una cappa criminale che toglieva fiato alla speranza. Ci sarà un ballottaggio per eleggere il sindaco, con Renato Natale in testa nei consensi del primo turno. E' il medico dal volto buono, che fu simbolo di rinascita nel 1994 quando per dieci mesi fu primo cittadino. Era sindaco, quando uccisero don Peppe Diana. "E' finita, è finita" disse quel giorno piangendo. Era il 1994, ci sarebbero voluti ancora 20 anni per fare dei veri passi in avanti nella strada per la legalità. Renato ci riprova, con la solidarietà di tutti gli extracomunitari e di tanti casalesi che ritrovano gioia. Lui, già nel Pci, poi Pds, poi Pd. Lui, che non ha mai smesso di resistere e lavorare nel suo paese, senza urlare. Nei giorni in cui Casal di Principe voleva ritornare cittadina e non paese che, come Corleone, ha dato il nome ad un pericoloso gruppo mafioso, proprio tra i capi violenti di quella mafia-camorra stava scoppiando un terremoto: la collaborazione copn la giustizia di Antonio Iovine, seguito con lo stesso proposito da Giuseppe Setola. Una coincidenza? Mi piace non vederla così, mi piace vederci il collegamento di un'alba che riporterà presto nelle tenebre chi si è arricchito senza scrupoli con la violenza, il sangue, l'oppressione, le lacrime altrui. Chi ha terrorizzato interi territori, togliendo ossigeno a gente spaventata da connivenze insospettabili che bloccavano qualsiasi possibilità di reazione. Antonio Iovine detto 'o ninno, 50 anni, ha già riempito 4 verbali di interrogatori con i magistrati. Quando fu arrestato e spedito subito al 41-bis, già diede segni di cedimento. Tra i capi al vertice dei Casalesi, era quello meno provinciale: abituato alla bella vita, ai bei vestiti, ai viaggi. Ha fatto studiare i figli, ha assicurato loro prospettive pulite. Con il sangue. Le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, ma questa storia è emblematica di come carriere criminali ripuliscano nelle generazioni successive credibilità sociale. Anche se, finora, nessun figlio di 'o ninno ha preso le distanze dai business illegali del padre. La camorra non è unica responsabile di tanti orrori; appoggiavamo politici locali, sicuri che ci avrebbero aiutato; per noi il colore politico era indifferente; c'erano soldi per tutti, in un sistema che era completamente corrotto: le prime frasi di Iovine non sembrano aver scoperto nulla rispetto a quello che già si sapeva ed è stato scritto. Ma sono ugualmente importanti. Forse, Iovine non racconterà molto di più, dopo le dedine e decine di indagini rivelatrici della Dda napoletana. Ma che si sia pentito uno dei capi, al vertice di un gruppo mafioso-camorristico a struttura piramidale come lo furono i Corleonesi, resta un segnale di resa. Così come lo è la probabile collaborazione di Giuseppe Setola, 'o cecato, il feroce killer dell'ala bidognettiana dei Casalesi, diventato artefice dei mesi stragisti nel 2008. Segnali di cedimento. Setola dovrà spiegare i legami dei suoi omicidi con i capi allora ancora latitanti, Iovine e Michele Zagaria, oltre che con il gruppo degli Schiavone. Sperando che i due pentimenti provochino ulteriori effetti-domino tra altri boss tutti ormai in carcere. Sono comunque segnali di resa, nel capovolgimento di quella cappa oppressiva che tanto male ha portato su interi territori della provincia di Caserta e non solo. Queste collaborazioni avranno certamente conseguenze psicologiche profonde su tutti i conniventi, tutte le complicità al potere mafioso dei Casalesi. Dopo 20 anni dalla morte di don Diana, potrebbe essere il momento della svolta. Nessuna illusione, ma di certo si avverte nell'aria di quei territori tanta voglia di voltare pagina. Si avvertiva a Casal di Principe, il 26 maggio. La gente camminava tranquilla, sorrideva, suonava i clacson, girava in bici insieme con Renato Natale. Certo, ci sarà molto da lavorare a Casale: capire cosa ne sarà delle 600 ordinanze di abbattimenti di case abusive, di quel 40 per cento di immobili senza licenza, degli allacci illegali di utenze, della differenziata avviata dai commissari prefettizi, dei beni confiscati ai mafiosi che attendono ancora un utilizzo pubblico. Ma se la voglia di rimboccarsi le maniche diventerà prevalente, Casale, diventata in questi anni simbolo tutto negativo, potrà finalmente togliersi di dosso quelle facili e pigre equazioni totalizzanti. E modificare quella sua etichetta. Lunedì 26 maggio, camminavo lungo corso Dante a Casale e lo sguardo si è fermato su un manufatto di pregevole storia e bellezza: un palazzo ottocentesco. Era il palazzo della famiglia D'Amore, che vive altrove e lo ha abbandonato. Le rifiniture, il portone, le tende damascate che ancora si intravedevano alle finestre facevano immaginare splendori e storia passata. In piena Casale, a pochi metri dal luogo dove fu ucciso Michele Orsi. Ecco, quell'immagine mi è apparsa come simbolo di antichi splendori. Una folgorazione. Chi ama le nostre terre deve sperare che Casale, con l'apporto di tutta la gente perbene che ha voglia di futuro, ritorni a quello splendore. Si potrà, solo se tutti lo vorranno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA