Fortezza di Fenestrelle, basta con la lapide! Distrutto il ricordo dei prigionieri meridionali

Lunedì 8 Luglio 2013, 17:37
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"Anche se ne fosse morto solo uno di quei prigionieri, sarebbe giusto ricordarlo". Fui chiaro, a Torino, con il professore Alessandro Barbero. Mi chiese cosa ne pensavo della lapide sistemata nel 2008 all'interno della fortezza-carcere di Fenestrelle. Fui chiaro mentre si dibatteva su un suo lavoro, nato da una ricerca impostata, in maniera limitata, quasi esclusivamente su documenti dell'Archivio storico di Torino. Limitava il numero dei morti tra i prigionieri dell'ex esercito delle Due Sicilie e dello Stato pontificio, rinchiusi dopo gli scontri con i garibaldini e le truppe piemontesi. Poche decine, ho più volte scritto, non certo migliaia. Ma pur sempre morti lontano dalle loro terre e in stato di prigionia.

Voglia di revisionismo delle controstorie. Voglia di strizzare l'occhio ad un mercato che si era rivelato incuriosito dalle controstorie, senza che il mercato rispondesse a Barbero come sperava: il libro è rimasto lì, con il suo 2 per cento di documenti consultati tra quelli disponibili sulle prigionie risorgimentali tra il 1860 e il 1862. Senza aver chiuso la ricerca sul tema dei prigionieri di una guerra non dichiarata tra italiani.

L'effetto violento di quel testo è stata, invece, la distruzione della lapide che non dava fastidio a nessuno. Era stata affissa dai Comitati presieduti da Fiore Marro e diceva: "Tra il 1860 e il 1861 vennero segregati nella fortezza di Fenestrelle migliaia di soldati dell'esercito delle Due Sicilie che si erano rifiutati di rinnegare il re e l'antica patria. Pochi tornarono a casa, i più morirono di stenti. I pochi che sanno s'inchinano".

Nulla di esplosivo, di "secessionista", di violento. Un ricordo, come in migliaia di lapidi che inneggiano alle case e alle casette dove ha dormito o è solo passato (ma sarà poi sempre vero?) Giuseppe Garibaldi in Italia.

Tra bar e spettacoli ameni, la fortezza di Fenestrelle, carcere duro del regno sardo-piemontese e poi dei primi anni dell'Italia unita, viene visitata dai turisti. Niente ricordo degli italiani che vennero rinchiusi tra quelle mura, dopo una guerra di conquista che portò all'annessione di territori dello Stato pontificio e dell'intero Mezzogiorno.

Gli accademici che hanno ricordato quelle prigionie, come Roberto Martucci o Eugenio Di Rienzo, sono a volte guardati con diffidenza dai loro colleghi. Mentre monta la voglia accademica di avviare finalmente ricerche su temi sollevati anche da storici non di professione. 

Temi della nostra storia di 152 anni fa, su cui l'accademia si era seduta. E per anni ci si poteva chiedere a cosa servissero le cattedre di storia del Risorgimento se tutto era stato scritto, esplorato, interpretato. Molto invece era rimasto nel buio. E ci volle un non storico-accademico, come Franco Molfese, per fare finalmente luce per intero sulla storia del brigantraggio post-unitario, con documenti inediti.

Misteri dell'Italia, che non sa davvero fare i conti con la propria storia. E, in questo clima, ci sta anche la distruzione della lapide a Fenestrelle, anticipata dalle parole di Barbero. Parlò di "lapide menzognera che l'amministrazione del forte ha incredibilmente acconsentito di collocare, su falsità che hanno influenzato un'opinione pubblica particolarmente incattivita e frustrata".

Così parlò il docente di storia medievale. Con toni di insolita violenza che contestava ad altri. L'effetto è stata la rimozione della lapide a Fenestrelle. Ridotta a pezzi. E non ritrovata da chi era tornato nel forte per rivederla.
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