I fischi dell'Olimpico all'inno di Mameli e quei segnali da interpretare

Lunedì 5 Maggio 2014, 12:04
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C'è un ragazzo che rischia di restare paralizzato alle gambe, ci sono le immagini di uno stadio in attesa di sapere cosa era successo a quella vittima di un folle che ha potuto sparare senza difficoltà. Poi, c'è la maglietta nera con la scritta "Speziale libero" e la figura del capo ultrà napoletano che la indossa, che sembra dover assorbire tutto il resto.

Notte di finale di coppa Italia, notte romana di due giorni fa, notte di calcio incomprensibile. Come quando, proprio chi ha sparato al ragazzo napoletano, scendeva in campo a mediare e trattare con Totti, poco prima del derby romano che fu giocato solo con il placet della tifoseria.

Notte dove è facile non capire, dove confluiscono tanti diversi frammenti di realtà. Tanti umori e apparenze. Dove si riconiuga l'equazione camorra infiltrata nella tifoseria ultrà e si dimentica che tutto lo spettacolo è andato in onda sotto gli occhi del presidente del Consiglio, del presidente del Senato, di rappresentanti di più istituzioni.

Tanti segni da mettere insieme per andare oltre la superficie. Come quei fischi. La povera Alessandra Amoroso cantava l'inno di Mameli e veniva sommersa da sibili assordanti che arrivavano dai tifosi del Napoli come da quelli della Fiorentina. C'è qualcosa di più e di diverso, che trova sfogo negli stadi, da leggere in quei fischi. L'inno come simbolo del Paese istituzionale che tanti avvertono lontano. Distante.

E le tifoserie esprimono quella lontananza. I fischi dell'Olimpico seguivano quelli di due anni prima nella finale, sempre di coppa Italia, tra il Napoli e la Juventus. Da quei fischi, criticati, nacque subito un gruppo su Facebook: "Ho fischiato anche io!". Conta quasi 7400 iscritti ed esprime una protesta, nata anche tra chi fa parte dei gruppi meridionalisti presenti in Rete.

"Ho fischiato anche io!" aveva chiamato a raccolta tutti gli iscritti, anche stavolta, per un bis. Il dramma ha però superato la protesta contro le istituzioni avvertite come lontane. L'ha sommersa, probabilmente assorbendola. Ecco, quei fischi non vanno sottovalutati. Li ha sentiti Matteo Renzi come Piero Grasso. Non serve condannarli, senza capire cosa ci sia dietro. Il Paese si scolla, la gente è sfiduciata. Gli stadi raggruppano migliaia di persone di diversa estrazione sociale e culturale. E certamente non tutti quelli che fischiavano erano camorristi infiltrati tra gli ultrà. Questo bisognerebbe capirlo. E cercare di trovarne la ragione. Senza demagogia.
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