Il feroce Saracino, Giafar Buttafuoco e gli sbarchi di migranti nella Sicilia araba

Venerdì 7 Agosto 2015, 12:14
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Che Pietrangelo Buttafuoco sia un intellettuale brillante e anticonformista è ormai dato acquisito. Che la sua conversione all'Islam con il nome Giafar suoni come provocazione culturale, anche. E colpisce che la polemica a destra su una possibile candidatura di Giafar-Buttafuoco alla Regione siciliana sia stata liquidata in poche battute, nel fasullo presupposto che le radici musulmane siano estranee all'isola.

I tragici sbarchi degli immigrati in Sicilia appaiono, invece, quasi come un ritorno di genti africo-arabe 12 secoli dopo in una terra dove erano vissuti i loro avi. Nemesi della storia, accompagnata dall'assenza, in Sicilia, di manifestazione d'intolleranza o razzismo verso i migranti, come invece si sono viste in altre parti d'Italia. 

"Il feroce Saracino" si chiama l'appassionato libro di Buttafuoco, sulle radici musulmane nella sua terra. Radici che risalgono al nono secolo dopo Cristo. Palermo ne porta ancora i segni: in alcuni quartieri, come nella cattedrale cattolica che fu costruita al posto dell'enorme moschea che occupava la stessa area. Oltre 300 moschee c'erano in quella che sarebbe diventata la grande capitale svevo-normanna del regno fondato da Ruggero d'Altavilla.

Quando Federico II ingrandì il regno tra isola e parte continentale nel Sud d'Italia, convivevano in Sicilia cattolici, musulmani, ebrei. Era stato il papa a chiedere di conquistare la Sicilia, per scacciarvi gli infedeli. Ma con il re Federico II, tutta la parte occidentale dell'isola rimase ancora occupata da arabi, concentrati soprattutto tra Corleone, Calatrasi, Prizzi, Guastella, Cinisi, Guastanella, Gallo, Platano. Primeggiava Jato, fortezza a 850 metri che ospitava l'emiro Ibn Abbad alla guida di quell'area dove si coniava anche una moneta autonoma.

Nel 1220, Federico II aveva chiesto sottomissione a tutti gli arabi e considerò la presenza dell'emiro come una ribellione. Scatenò una guerra feroce. L'emiro Abbad tentò un'intesa pacifica, dopo aver resistito a lungo. La risposta fu la prosecuzione della guerra, che si concluse solo nel 1245 con la deportazione a Lucera in Puglia di almeno 20mila arabi. La deportazione saracena fu una vera diaspora, gli arabi pensarono sempre con nostalgia alla Sicilia. Il poeta Ibn Hamdis scrisse: "Io me la rappresento al pensiero ad ogni istante". Non passò molto tempo, però, che gli arabi in Puglia riconobbero in Federico II il loro signore. Da nemici si trasformarono in un popolo a lui fedele.

Dunque, la Sicilia è anche storia araba. Una terra dove la diversità è stata, come dovrebbe essere sempre, ricchezza. Interessi politico-religiosi portarono all'espulsione dei saraceni. E il "feroce Saracino" Buttafuoco ricorda anche quella storia di fioritura di culture, convivenze, continuità di saperi che partivano dai greci. La storia è sempre progressione, ritenere che passare da un periodo ad un altro avvenga con fratture nette prive di influenze ed eredità è solo cecità culturale. E Giafar lo sa.
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