La Galleria a pezzi e quella Napoli da sventrare

Domenica 13 Luglio 2014, 15:03
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 "Bisogna sventrare Napoli" , ammonì il primo ministro Agostino Depretis. Pensate, quella frase compie oggi 130 anni. La città viveva il dopo epidemia di colera che, in quel 1884, aveva creato allarme e alimentato preoccupate denunce.

Si era distinta Matilde Serao che, in un'inchiesta di quattro puntate, aveva descritto la realtà di alcuni quartieri cittadini, con palazzi fatiscenti, condizioni igieniche da degrado, miseria. Era quello "il ventre di Napoli". Il ventre molle e pericoloso. Parole come fondaci e bassi cominciarono a diventare familiari a tanta gente.

L'equazione colera e degrado fu cavalcata da tutti. Il giornale "La Discussione" precisò: "Sventrare significa bonificare, abbattere i bassi quartieri, fogna perenne di infezione, slargare le vie, ricostruirle con nuovi fabbricati, aprirle alle correnti d'aria pure e salubre".

Sembra quasi incredibile che la galleria Umberto, che oggi sembra scenario da day after, teatro di morte e allarmi, sia nata proprio nel clima di quel 1884. Lo sventramento, il rifacimento della città, passò per un ridisegno di strade e abbattimenti di vecchi palazzi, che portarono anche alla costruzione della famosa Galleria a ridosso di via Toledo. 

All'inizio, vennero stanziati 30 milioni di lire (di allora), si pensò di includere nel grande progetto anche la trasformazione del quartiere Santa Lucia e del Vomero. Il sindaco Nicola Amore si affidò all'architetto Adolfo Giambarba per un piano complessivo. Un'idea nuova di città. Dopo tre giorni di dibattito, il finanziamento passò in Parlamento e divenne esecutivo nel gennaio 1885.

Soldi da Roma ed esecuzione affidata al Comune. Alla fine, si arrivò a 132 milioni di finanziamenti, su cui si fiondarono speculatori diversi. La Banca Tiberina mise le mani sui terreni del Vomero dove sarebbe stato costruito il nuovo rione residenziale. L'architetto Giambarba dichiarò: "La febbre dell'acquisto dei terreni su vasta scala ha invaso molti speculatori".

La società per azioni Risanamento di Napoli si aggiudicò la rivoluzione urbanistica cittadina. Era nata con capitali tutti non napoletani: Credito mobiliare di Firenze, Banca generale di Roma, Banca subalpina di Torino, Immobiliare dei lavori di utilità pubblica ed agricola di Roma, società fratelli Marsiglia di Torino. Entrarono nella grande torta dei lavori su Napoli.

Il sindaco Nicola Amore fu accusato di aver favorito la società Geisser e banche non napoletane. Si difese: "E' vero che molte banche, specie da Torino, mi hanno chiesto la concessione dei lavori. Per loro grandi rischi, per noi vigilanza assoluta. Certo, saremmo stati felici se in questa città si fossero potuti associare capitalisti napoletani, ma non sono forti abbastanza per assumere la concessione". Insomma, lavori a Napoli per il beneficio di società non meridionali. Storie ricorrenti.

Chiaia, Pendino, Porto, Mercato, Vicaria furono i quartieri dei grandi lavori. Da intere vie travolte e abbattimenti, nacquero corso Umberto, piazza Nicola Amore, piazza Bovio e, appunto, la galleria Umberto I. Venne realizzata tra il 1887 e il 1890, inserita nel grande progetto di rifacimento di Santa Brigida ideato da Emmanuele Rocco: una galleria a quattro braccia, con demolizione dei vecchi edifici, tranne palazzo Capone. Dopo tre anni di lavori, la galleria fu inaugurata. Era il 19 novembre 1890.

Da allora, la manutenzione non ha mai brillato. Nei quattro stabili su tre piani che incidono sulla galleria, l'avvicendamento di proprietà e inquilini ha accresciuto il caos. Nel balletto di responsabilità e di rinvii nelle spese, il monumento che ha 124 anni si sfalda. Tutto invecchia, compresi i palazzi. C'è chi si illude di non poter spendere per affrontare l'usura del tempo, come se i nostri monumenti fossero eterni. E, in questa miopia, stavolta dobbiamo piangere il povero Salvatore Giordano. 
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