La xylella e gli ulivi del Salento, l'allarme tra storia e tradizione

Giovedì 16 Aprile 2015, 19:43
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Torno dal Salento, da una terra che amo, che mi ha spesso ospitato. Torno da Lecce, una delle più belle città barocche d'Italia. Torno dalla Puglia, terra del Sud ricca di storia e tradizioni. Torno da un tour di lavoro per Il Mattino, tra i secolari ulivi nell'area di Gallipoli. E porto dentro amarezza e speranza.

L'olivicoltura venne definita nel 1808 "il più grande oggetto dell'economia della provincia d'Otranto". Un'economia fiorente, da esportazione di un regno autonomo che, tra varie dinastie, visse sette secoli. Quell'anno - si era in pieno periodo murattiano - la relazione del Consiglio generale dell'agricoltura lanciò un allarme sulla flessione nell'export di olio.

Scriveva il consigliere Balsamo: "Da alcuni anni non si fa che svellere gli alberi degli ulivi; alla devastazione che degli oliveti fanno i proprietari, si aggiunge quella dei legnaioli. Il contratto di colonia diffuso non spinge il contadino a far fruttare l'oliveto".

Era il tema dell'utilizzo della terra, in un'area dove l'ulivo aveva già storia antica. Nel Salento, quegli alberi secolari sono sculture, non piante. Persone di famiglia, non pachidermi vegetali. Esseri con anima dalle forme variegate e cui si attribuiscono nomi: il Gigante di Alliste, il Re, la Colonna, la Cascata. Nomi ispirati da forme intense, modellate attraverso irrigazioni nei decenni installate nei fusti possenti.

Quelle piante piangono da due anni. Alcune sono diventate grigie. Scheletri senza più vita. E' l'effetto xylella, un insidioso batterio importato dalla Costa Rica. In Puglia ci è arrivato dall'importazione di piante esotiche dei florovivai locali. Importazioni selvagge, senza controlli, passate per il porto di Rotterdam. In Puglia, il batterio ha trovato nel caldo il suo habitat ideale per prosperare. Il batterio viene passato alle piante da un insetto, che chiamano sputacchina anche se il nome scientifico è Philenus spumarius.

Un insetto innocuo in passato, che ora è diventato veicolo d'infezione. Gli ulivi in Salento sono secolari, hanno attraversato guerre, devastazioni, le difficoltà denunciate anche nel 1808. Sono cultura, tradizione, economia: le fiorenti cooperative e i consorzi pugliesi esportano olio Dop anche in 35 Paesi diversi nel mondo.

L'ulivo divide il Salento. Movimenti raccolti attorno ad artisti come i Negramaro sminuiscono, chiedono più ricerca, rimedi certi, attribuiscono a degli imprecisati funghi gran parte dei problemi delle piante. E contrastano gli abbattimenti previsti dal commissario straordinario nominato (in ritardo) dal governo Renzi poco più di due mesi fa.

Poi c'è La voce dell'ulivo, un'associazione spontanea che raggruppa produttori di olio, consorzi, cooperative, sindaci, parroci. Non negano la xylella, promuovono intense attività sui terreni, azioni preventive e chiedono a chiunque di studiare rimedi. Per ora, sono stati abbattuti 7 ulivi nell'area vicina alla provincia di Brindisi. Per altri 22 nel Salento, la protesta ha bloccato l'azione.

La Francia ha alzato la voce e ha bloccato l'importazione di ben 102 specie vegetali pugliesi. Una misura draconiana, drastica, nall'assenza di una voce chiara e certa dell'Europa. Il governatore Vendola denuncia boicottaggi, chiede tutela a Bruxelles, dati certi. La Procura di Lecce ha avviato un'inchiesta, per capirne di più sulla xylella.

Fanno tristezza quegli scheletri informi tra Gallipoli e Alliste. Piange il cuore alla violenza che la natura fa alla storia. Cosa ne sarà dei 15 chilometri di uliveti del Salento? Che si facciano avanti ricercatori seri. Che dall'Università (facoltà di Agraria di Portici, se ci sei batti un colpo) si attivino iniziative, studi per trovare rimedi. Il Salento, perla del Sud, non può vedere morire i suoi ulivi senza reagire. Sarebbe un'altra mazzata alla nostra storia. Un altro danno.
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