Lo pseudo-divario Nord-Sud all'alba dell'unità d'Italia e lo studio del professore Davis

Giovedì 4 Settembre 2014, 12:30
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Ma davvero il Sud era depresso e aveva un divario assai profondo con il resto dell'Italia, all'alba dell'unificazione? Davvero le condizioni delle regioni meridionali erano da far paura e solo l'unità ne risollevò le sorti? O, invece, in quel 1861 era l'Italia intera in sofferenza economico-sociale rispetto alle nazioni più sviluppate come Gran Bretagna e Francia? Quesiti ancora d'attualità, domande su cui studi e dibattiti, attraverso documenti e ricerche, tentano di fornire continue risposte. Stavolta, vorrei dar conto (l'ho fatto già sulle pagine culturali de Il Mattino, in edicola il 2 settembre scorso) dell'interessante e approfondito lavoro di uno dei principali storici inglesi, che si occupa da anni di vicende del Mezzogiorno italiano: John Anthony Davis. Anche lui, analizzando gli anni che precedettero il decennio francese, i regni di Giuseppe Napoleone e Murat, poi la restaurazione fino al 1820-21, cercò risposte. Il saggio (569 pagine), "Napoli e Napoleone", uscì otto anni fa in inglese. Ora è stato tradotto dall'editore Rubettino, sottratto quindi alla lettura limitata in Italia di pochi accademici. Davis tentò di scardinare luoghi comuni e pregiudizi nei confronti del Mezzogiorno, centrando la questione fondamentale nella storia dell'Italia meridionale: la proprietà e lo sfruttamento delle terre, con tutti i collegamenti di potere sociale e giuridico conseguenti. Scrive lo storico inglese: “Guardando al passato, gli italiani hanno scritto la storia dell’unificazione basandosi sull’idea di nazione e nazionalismo, ragion per cui è facile dimenticare le altre cause che resero sempre più difficile nella penisola la sopravvivenza degli Stati dinastici indipendenti”. E ancora, stavolta davvero senza equivoci: “Le letture centrate sul contrasto tra un Nord moderno e un Sud arretrato non solo hanno messo in evidenza differenze che non avevano risconti nella realtà, ma hanno oscurato le discrepanze effettivamente esistenti”. Non male, come valutazione. Lo studio analizza, con completezza, l’azione centrale della monarchia borbonica in contrasto con il potere dei feudatari e dei potentati locali: la questione delle terre, delle ricchezze demaniali per il pascolo, la raccolta di legna, le piccole coltivazioni furono al centro delle contrapposizioni centro-periferia, capitale-province. Segnarono autonomia e crisi della dinastia borbonica, ma furono premesse delle riforme che, su quella scia, avviarono i francesi. Alla fine, del feudalesimo ne raccolse l'eredità una borghesia rurale, latifondisti che disponevano di personali braccia armate e gestivano un incontrastato potere locale. Si fecero poi liberali e unitari per gestire anche il controllo politico, perpetuando precisi interessi economici, in contrasto con l’accentramento amministrativo e il potere della monarchia. Chi non ricorda lo splendido romanzo di Tomasi di Lampedusa, "Il Gattopardo"? Davis non ama il pregiudizio e chiarisce come le dinamiche commerciali, il potere inglese influenzarono i tentativi di autonomia del Sud, stretto tra imposizioni straniere e ostacoli a politiche di protezionismo finalizzate a favorire il consumo industriale interno. E riporta una chicca sulla famosa guerra degli zolfi e il lapidario giudizio di sir Gladstone del "regno negazione di Dio". Lo storico non ha difficoltà a ricordare che Gladstone non era in buona fede, in quanto “portavoce nella Camera dei Comuni per i mercanti inglesi interessati al commercio siciliano dello zolfo, mentre precedentemente aveva scritto un resoconto più che positivo del governo borbonico a Napoli”. E il tanto dibattuto pseudo-divario tra Nord e Sud all’alba dell’unità d’Italia? Scrive lo storico inglese, professore di storia italiana ed europea all’Università del Connecticut e anche membro dell’Istituto italiano per gli studi filosofici: “Non si può neanche sostenere che le condizioni economiche e sociali al Sud fossero peggiori del resto d’Italia all’epoca dell’unificazione. Verso la fine del secolo, la povertà era una condizione comune a molti italiani e c’erano ben poche differenze fra le regioni meridionali e quelle centro-settentrionali”.  Ma guarda. Non stupiscono, quindi, le successive conclusioni: “Nel 1860 le differenze economiche tra il Nord e il Sud erano di gran lunga inferiori a quelle che ci sarebbero state 40 anni più tardi, quando il nuovo Stato italiano smantellò le barriere protettive che avevano portato allo sviluppo delle industrie tessili, di ingegneria e di edilizia navale meridionali”. E ancora: “Nello stesso anno 1860, i numeri dell’industria erano migliori al Sud che in qualsiasi altra parte della penisola”. Un libro destinato a riaprire discussioni, un altro tassello di verità, spunto per ulteriori confronti. Giusto darne conto e farlo conoscere a chi non si accontenta di verità precotte e pigre. La ricerca della verità storica non è mai dogma, ma fatica continua. E anche il saggio di Davis lo dimostra.
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