Sanità e ospedali a Napoli ai tempi dei Borbone

Mercoledì 16 Aprile 2014, 16:22
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C'è una mostra assai interessante e ben allestita, inaugurata la scorsa settimana all'ospedale Incurabili di Napoli. Resterà aperta fino a luglio. E' una rassegna, con strumenti medici d'epoca, documenti e libri, sulla sanità del periodo borbonico. Come funzionavano gli ospedali, chi erano i medici, come si curavano i pazienti.

Un'iniziativa assai opportuna, voluta dal professore Gennaro Rispoli che ormai da anni si dedica, insieme con un nutrito gruppo di suoi colleghi e collaboratori, alla riscoperta storica della professione medica a Napoli e nell'intero Mezzogiorno. Un frammento di storia, settoriale, ma assai utile per fornire ulteriori strumenti interpretativi su come camminava la società di allora. Un mosaico ulteriore per dare altri contorni al tutto. 

Erano altri tempi, certo. La sanità e gli ospedali nascevano con donazioni, soprattutto di natura religiosa, atti di beneficenza di famiglie nobiliari che in quel modo speravano di conquistarsi una fetta di Paradiso. E per questo molte di quelle strutture sorgevano in antichi conventi. Dal periodo del vicereame fiorirono le strutture ospedaliere nel centro storico cittadino. Tante funzionano ancora e sono tuttora visibili e visitabili, trasmettendo un eccezionale potere evocativo da monumenti storici.

Qualche nome: Incurabili, Pellegrini, ospedale della Pace, Ascalesi, Elena d'Aosta. Fu la città di medici innovatori e sperimentatori come Domenico Cotugno, Domenico Cirillo, Antonio Sementini, Michele Sarcone prima e poi: Camillo De Meis, Pietro Ramaglia, Francesco Semmola, Vincenzo Lanza, Ferdinando Palasciano. Cultura illuministica, appoggio della Corte, apertura alle innovazioni. Nel campo medico, Napoli camminava veloce.

Venivano da Londra i medici per capire come i loro colleghi degli Incurabili operavano nel settore dell'ostetricia e dell'urologia. Qui si impiantarono i primi cateteri, si sperimentarono le prime macchine elettriche per le analisi, si faceva scuole per le tecniche medico legali nelle autopsie. Tra i sovrani dell'epoca, fu Ferdinando IV di Borbone a credere per primo alla validità della vaccinazione anti vaiolo. Fu il re, con la regina Maria Carolina, a dare l'esempio facendosi vaccinare. Oggi si direbbe, "ci mise la faccia" per convincere i riottosi che non c'era pericolo.

In 18 anni, nelle Due Sicilie i vaccinati furono due milioni. Nel regno, gli ospedali centrali divennero 80. Agli Incurabili, c'erano sezioni maschili e femminili, con medici che seguivano le stanze da due file di letti e infermieri. Tre cliniche: Ostetricia, Chirurgica, Oftalmica più la "grande e sontuosa Farmacia", come si scriveva nel 1824, nelle onoranze funebri per Domenico Cotugno.

Nello stesso testo si precisava che agli Incurabili si ricevevano "tutti gli infermi civili" tranne quelli con febbri acute, i maschi colpiti da lesioni violente, le "prostitute affette da mal venereo". Naturalmente, per questi tipi di pazienti esistevano altri ospedali cittadini pronti ad accoglierli.

Proprio come oggi, nella differenza tra sanità pubblica e privata a pagamento, si spiegava che "v'è benanche un locale a parte pei malati a pagamento". Anche allora le sale per i malati erano chiamate corsie con due ordini di letto, una a destra e l'altra a sinistra. Per pazienti con tisi e scabbia, sale a parte. Un medico e un chirurgo assisteva i ricoverati.

Fino al 1812, agli Incurabili erano assistiti anche "i pazzi". Poi nacque lo stabilimento di Aversa, che funziona ancora. E il personale? C'erano 23 medici e 18 chirurghi che giravano per le corsie una volta al giorno. I medici venivano assunti per concorso, dopo la laurea, attestato che portava in calce la firma del re. Quando Napoli divenne parte del regno d'Italia, quei medici dovettero farsi riconoscere la loro laurea sostenendo un altro esame. Lo richiedeva il nuovo regno. Un'umiliazione, ma si sa, per la storia come per la vita, gli esami non finiscono mai.
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