Gigi Di Fiore
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Il dopo Referendum, quando era il re a nominare i senatori

L'aula del Senato di Palazzo Madama a Torino
L'aula del Senato di Palazzo Madama a Torino
di Gigi Di Fiore
Lunedì 5 Dicembre 2016, 13:03 - Ultimo agg. 17:21
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Il referendum è andato. Gli italiani hanno bocciato la riforma, che modificava l'articolo quinto della Costituzione. Il Senato resta seconda Camera parlamentare, con uguali poteri e compiti della Camera dei deputati. Restano i 315 senatori eletti dal voto popolare, con i 5 nominati dal presidente della Repubblica.

Ma come funzionava con il tanto esaltato (dagli storici, molto meno dai costituzionalisti) Statuto Albertino? Di elezione dei senatori con voto popolare, l'articolo 33 della carta costituzionale, concessa dall'alto dal re Carlo Alberto nello Stato sardo-piemontese, manco a parlarne. I senatori erano tutti nominati dal re, che li sceglieva tra 21 categorie indicate in maniera rigida. C'erano alti prelati, notabili, accademici. Insomma, gente vicina alla corte e alla monarchia, che non l'avrebbero mai tradita.

Con la prassi, la nomina del re rimase, ma ebbero sempre più influenza i condizionamenti e le richieste del governo che suggeriva persone vicine alla maggioranza. Erano le cosiddette "Informate", nomine imparziali solo sulla carta. Lo Statuto Albertino, tante volte calpestato (basti pensare la legge speciale Pica per la repressione del brigantaggio, o la procedura utilizzata per dichiarare la guerra nel 1915 saltando il voto parlamentare), rimase in vigore nel regno piemontese dal 1848 al 1861. Poi, fu esteso all'Italia intera, nonostante fosse stato concesso in un piccolo Stato.

Inutili furono le proteste e le richieste di chi, come Garibaldi, riteneva che con l'unificazione ci fosse bisogno di un'assemblea costituente per scrivere una nuova Costituzione più adatta al più grande Stato. Le resistenze della maggioranza della destra liberale e dei poteri piemontesi ebbero la meglio. Lo Statuto Albertino divenne Costituzione italiana con la legge 4671 del 17 marzo 1861. A parole era in vigore anche nel Ventennio fascista, ma in quegli anni rimase come in letargo, con il re Vittorio Emanuele III che aveva poteri costituzionali di carta, esercitati con paura e interesse. Basti pensare alla costituzione dell'impero con le conquiste dell'Etiopia o alle leggi razziali.

Di fatto, lo Statuto Albertino rimase in vigore fino al 1948. Furono ben 87 anni nell'Italia unita. E il Senato di nomina del re? Venne sciolto solo con il decreto legislativo numero 48 del 24 giugno 1946, firmato dal presidente del Consiglio dei Ministri Alcide De Gasperi in funzione di capo provvisorio dello Stato, pochi giorni dopo il referendum del 2 giugno, con cui l'Italia aveva preferito la Repubblica alla Monarchia sabauda. Venne eletta l'Assemblea costituente, che avrebbe dovuto, finalmente, scrivere la nuova Costituzione. Dal giorno dopo, "cessarono le funzioni" del Senato che solo con la legge costituzionale numero 3 del 14 novembre 1947 venne definitivamente sciolto.

Finalmente, anche per eleggere i senatori la nuova Costituzione, che andò in vigore nel 1948, diede la parola al voto popolare. In tutto 315 senatori da eleggere. Rimase, come eredità degli antichi criteri di composizione, una quota di 5 senatori riservati al presidente della Repubblica che può nominarli tra persone che hanno dato lustro e onore alla Repubblica. Oltre, naturalmente, agli ex presidenti della Repubblica che, scaduto il loro mandato, diventano senatori a vita. Era il Senato che si voleva modificare. La non elezione popolare, però, sembrava davvero un ritorno allo Statuto Albertino. Un ritorno al passato.
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