Voglia di identità, Partito della Nazione, Nazione napoletana e la Napoli di Ulisse

Martedì 12 Maggio 2015, 12:55
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Pochi giorni fa, nel presentare il tema del Salone del libro di Torino che si apre in questi giorni, scriveva il "Corriere della sera": "Le meraviglie d'Italia, ecco un altro possibile slogan. C'è un'Italia tutta da destare, da mettere in primo piano, da proporre ai nostri connazionali e al mondo".

C'è davvero in giro voglia d'Italia? E di quale tipo d'Italia? Sembra che Matteo Renzi non faccia altro che battere su questo argomento, come ha dimostrato alla presentazione dell' Expo a Milano parlando di "orgoglio italiano". L'Italia che il 24 maggio ricorda i 100 anni di inizio di quella macelleria che fu la Prima guerra mondiale. L'Italia che ha ricordato il 25 aprile i 70 anni dalla Liberazione dal nazi-fascismo. L'Italia, infine, che fa passare in sordina l'11 maggio, che è il giorno in cui 155 anni fa Giuseppe Garibaldi e i suoi 1089 in camicia rossa sbarcarono a Marsala.

Non è un caso, a Roma e in altri luoghi si cercano argomenti per unire, in una realtà frammentata e sfilacciata come quella che viviamo. E lo sbarco di Garibaldi certamente non avrebbe unito, ma diviso. Come è naturale, per uno degli episodi più controversi della storia d'Italia. La gente è stanca, nauseata della politica e lo hanno dimostrato le urne disertate qualche giorno fa a Trento e Bolzano. Non parliamo del fastidio provocato dalla campagna elettorale di questi giorni, specie nelle regioni meridionali.

E, mentre Renzi teorizza e studia un Partito della Nazione che dimentichi le differenze, massifichi e narcotizzi il dissenso, non ci si rende conto che la voglia di identità e diversità in questo Paese è tanta. E lo stesso "Corriere della sera", nell'articolo che ho ricordato all'inizio, lo affermava parlando di "collante di uno stesso modo di essere italiani, nelle tante diversità".

Siamo italiani, ma ognuno con una storia e identità diversa. Molti storici ora ripetono, come è stato ribadito in aprile ad un convegno dell'Università di Fisciano, che l'Italia è una insieme di subnazioni. C'è chi, come gli storici inglesi con al primo posto Duggan, negano che esista un'identità unica italiana. Ed è vero.

Inutile negare che, tra le subnazioni, la Nazione napoletana è quella con più secoli, ben sette, di storia unitaria, che partì da Ruggero d'Altavilla il normanno e si concluse, politicamente, con Francesco II di Borbone. Sette secoli con il rinascimento di Alfonso il Magnanimo, la grande cultura laica di Federico II di Svevia, le riforme degli anni più illuminati sia di Ferdinando IV di Borbone prima della Rivoluzione francese, sia del nipote Ferdinando II tra il 1830 e il 1845 periodo di maggiore sviluppo di quel regno.

Per favore, per una volta non mettiamola sulla partita Borbone-Savoia. Ragioniamo di identità, di storia che è sempre una serie di eventi in successione. Le radici sono importanti, nel nostro Dna ci sono quei sette secoli, che dall'unità d'Italia chi cercava di costruire un'inesistente identità unitaria d'impronta nord-centrica ha cercato di annacquare, ridicolizzare, sminuire.

Non è voglia di primati, né di contrapposizione, è voglia di orgoglio meridionale. Voglia che questa terra abbia oggi una narrazione non monocorde. Il successo, sabato scorso, di Ulisse, programma di Alberto Angela su Rai 3, che ha raccontato le bellezze di Napoli, vorrà pur dire qualcosa. Era una narrazione in positivo, sulla storia, le curiosità, la voglia di fare.

Invece, i format ricorrenti, che vendono, sono quelli lugubri e oppressivi di una terra maledetta, cupa, preda solo di criminalità e malaffare. Ci sono anche quelli, inutile negarlo. E chi chiude gli occhi fa solo del male al Sud. Ma non c'è solo quello, anche se a molti, per ragioni di portafoglio e politica, fa comodo dire il contrario. Fino a quando non si riuscirà a ragionare con serenità di identità e storia meridionale, fino a quando non ci sarà una narrazione più completa sul Sud, aumenteranno anche nel Mezzogiorno i distacchi dalla politica.

La Nazione napoletana è oggi uno spirito e una cultura senza tempo,  un valore che nasce dalla storia per diventare identità eterna. Bisogna che lo tengano a mente i meridionali, come tutti gli italiani. La diversità delle radici è una ricchezza. L'imposizione di un pensiero unico fa solo male. E, forse, oggi i tempi sono maturi per ragionare con più serenità della diversità in positivo del Mezzogiorno. Andando oltre i Partiti della Nazione e le statistiche Istat.
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