Aldo Balestra
Diritto & Rovescio
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La crisi dei dialetti
e (anche) dell'Italiano

La crisi dei dialetti e (anche) dell'Italiano
di Aldo Balestra
Sabato 30 Dicembre 2017, 10:01 - Ultimo agg. 8 Gennaio, 22:51
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«Il dialetto è in crisi, ma piace sul web (Il Mattino, 28 dicembre 2017)»
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«Jamm, jà». Vuoi mettere (ogni tanto)  il fascino del dialetto? Eppure gli idiomi regionali, provinciali, comunali e persino rionali vengono sempre meno adoperati. Solo il 14% degli italiani (pari a 8 milioni di persone), infatti, parla in maniera esclusiva il dialetto, diverso - minimo minimo - ad ogni latitudine. Lo dice l'Istat, certificando che nel 2006 la percentuale era del 16%. In aumento, invece, e meno male, la percentuale di italiani che, in famiglia, parla soprattutto l'Italiano: è il 45,9%, oltre 26 milioni di persone.

La sopravvivenza dei dialetti, rinfocolata da un ritorno - spesso barbarizzato e stravolto - sul web, sta a cuore non solo agli studiosi dei linguaggi locali e dei tradizionalisti. E' tutela delle identità di origine, delle diverse storie del Paese. Guai a cancellare la memoria. Ma è logico che nello sforzo culturale ed educativo ci sia la formazione all'utilizzo corretto di un'unica lingua nazionale - l'Italiano - e la conoscenza sempre più necessaria e approfondita di lingue internazionali (ma solo il 6,9% della popolazione, purtroppo, riesce ad esprimersi anche in un'altra lingua).

E' impossibile non notare, però, che l'avanzata certificata della lingua italiana non sia nei termini auspicati. Basta leggere giornali, lettere e mail, post e messaggi, libri (o pseudo tali), ascoltare dialoghi televisivi o per strada, cercare di interpretare lo slang e la messaggistica sempre più sincopata per capire che qualcosa non va. Avanzerà pure, l'Italiano. Ma sembra, sempre di più, un Italiano di comodo, più veloce ma frutto di un'ignoranza percepibile, più facile perché meno studiato, più scorretto perché sempre più ostinato.

Ecco, è il rischio sui cui riflettere senza strafare ed essere, goffamente, aulici. E' l'andare a scuola per imparare l'Italiano che forse sta diventando un esercizio non più ben curato nell'obiettivo della corretta sufficienza. Si dirà: è astratto parlare di un unico Italiano considerando l'innegabilità di tante lingue parallele (Italiano scritto e parlato, e così via). Ma è altrettanto vero che ciò che unisce le varie modalità d'Italiano è molto più forte di ciò che le differenzia. Ed è quel che andrebbe studiato (meglio) a scuola. Senza se e senza ma. Ecco, sta avanzando il «quasi Italiano», sgrammaticato e scorretto, volgare e per assonanza. E allora, jamm, jà, siamo seri: non può essere questo l'orizzonte se vogliamo essere, un po' di più, un Paese.
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«L'uso fa legge qualunque siasi, quando sia universale e comune agli scrittori e al popolo» (Melchiorre Cesarotti) 
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