«Saman, ancora un giorno di ricerche senza esito» (Ansa, 15.06.2021, ore 20.04)
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Quegli occhi neri neri di Saman Abbas, la ragazza pakistana scomparsa a fine aprile nella Bassa Reggiana dove viveva con i genitori, esprimevano la gioia di vivere. Quella che cogli in tutti i diciottenni che si affacciano alla vita. Esprimono curiosità, sogni, progetti, ansia di futuro.
Quell'unica foto scattata in abiti occidentali racchiude tutta l'ansia di normalità e positività della propria esistenza, pur nel rispetto della fede islamica che la ragazza non aveva rinnegato. Saman, che viveva da anni in Italia con la famiglia, occupata in una grande impresa agricola in provincia di Reggio Emilia, desiderava soltanto la libertà di regolare i propri affetti e la propria condizione esistenziale senza quelle arcaiche, inaccettabili imposizioni familiari che erano state decise per lei. I genitori Shabbar e Nazia volevano un matrimonio combinato, secondo tradizione. Avrebbe dovuto sposare un cugino rimasto in Pakistan, senza se e senza ma. «Perché questa è la nostra regola, questa è la nostra decisione, tu sposerai quel cugino».
Non poteva, Saman, piegarsi a quelle regole assurde che resistono in Pakistan come in altri paesi asiatici. Non poteva dopo aver conosciuto l'Italia, essersi contaminata di altra cultura (nonostante la proibizione familiare di frequentare una scuola), altre esperienze, ed aveva il classico filarino con un fidanzatino con il quale era costretto a parlare di nascosto al telefono. Era scappata in comunità, poi era tornata a casa forse per riprendere le sue cose, i suoi documenti, ribadendo alla mamma ed al padre che no, quel matrimonio imposto non faceva per lei. Nessuno l'ha più vista. «E' stata uccisa», non hanno ora dubbi gli investigatori.
La violenza tribale della sua famiglia, affidata ad un cugino violento di nome Danish, appositamente convocato dal Pakistan e ora ricercato in tutta Europa, ha spento per sempre l'ansia di vita che c'era in quegli occhi.
La giustizia sta facendo il suo corso, le indagini sono guidate da una tenace pm, Laura Galli. I primi familiari coinvolti sono stati fermati, le indagini proseguono, i genitori Shabbar e Nazia sono tornati in Pakistan fuggendo come ladri di polli, e conta poco, davvero poco che il fratellino di Saman, testimone inerme di tanta violenza, abbia raccontato delle lacrime del padre tornando a casa dopo l'omicidio. La giustizia sta facendo il suo corso e la farà. Ma c'è un aspetto sul quale - anche se dovesse volerci del tempo - non bisogna arretrare di un millimetro: occorre ritrovare il corpo di Saman, darle una dignitosa e giusta sepoltura, probabilmente è ancora racchiusa in un sacco e sepolta negli enormi campi di cocomeri della Bassa Reggiana, dove la cercano i carabinieri con i cani molecolari. Li hanno visti con secchi e badili, i tre boia, partire per la loro missione di morte. In tre, contro una ragazzina inerme.
Ora Saman, perseguitata in vita dai familiari, in un Paese libero, in nome di un credo antiquato e inaccettabile, impaurita fino al momento di incrociare inesorabilmente lo sguardo truce dei suoi assassini, ha bisogno del rispetto della comunità che l'aveva adottata e non è riuscita ad aiutarla più di tanto. Quegli occhioni neri, spenti per sempre, hanno bisogno della carezza di una dolce, estrema pietà.
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«De li occhi suoi, come ch'ella li mova, / escono spirti d'amore infiammati, / che feron li occhi a qual che allor la guati, / e passan sì che 'l cor ciascun retrova» (Dante, Donne ch'avete intelletto d'amore, Vita Nuova)