Salerno, minacce in aula alla prof: «Se mi fai arrabbiare te la vedrai male» Il Mattino Web, 27.10.2022, ore 7.27
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Rovigo, Napoli, Salerno. Una dietro l'altra: la prof veneta di un istituto tecnico colpita alla testa e all'occhio da pallini di carta sparati con una pistola ad aria compressa; un minorenne napoletano che a Miano accoltella gravemente, a scuola, un compagno per una questione di "occhiate" e gelosia; infine la professoressa del Liceo Classico Tasso di Salerno, minacciata platealmente in classe da uno studente davanti a tutti: «Se mi fai arrabbiare te la vedrai male».
In un Paese che impegna il suo tempo, e la critica politica, al corretto utilizzo della parola "Merito" nella dizione del Ministero competente (se ne può discutere, ma senza rimanere questioni di lana caprina), sfuggono del tutto le prioritarie emergenze che riguardano il mondo della scuola.
La preside del Tasso di Salerno coglie (giustamente) un aspetto del problema quando sottolinea che la ripresa dell'attività scolastica in presenza, dopo il ciclone Covid, ha riportato in aula ragazzi disabituati alla convivenza e al rispetto reciproco, con l'esplosione di irrisione, rabbia e violenza che, a diverse gradazioni, contribuiscono a rendere estremamente grave e complicato il quadro.
Metal detector agli ingressi, più punizioni esemplari con sospensione dell'attività scolastica, bocciature per motivi di condotta? Il dibattito è talmente aperto, prestandosi a mille diverse interpretazioni, che non è certo sufficiente quest'esiguo spazio per affrontare il problema e sollecitare un dibattito. Forse, invece, potremmo tutti prenderci la responsabilità, da genitori, di ristabilire con i figli alcune "regole di ingaggio" ormai desuete nel rapporto con la scuola. Innanzitutto di spiegare, inculcare, raccomandare (e controllare che ci sia) un sano e responsabile rispetto della figura del docente, che certo non può essere insultato o aggredito per spavalderia, delirio di onnipotenza, certezza dell'impunità da parte dei ragazzi. E dove ciò non fosse possibile, per motivi di degrado familiare e mancata consapevolezza del problema, effettuare da parte della Scuola interventi mirati di sensibilizzazione adoperando anche operatori di tutela (tribunale dei minori, assistenti sociali, forze dell'ordine). Allo stesso tempo "lavorare" su questo aspetto non significa avere soggiacenza assoluta rispetto ai docenti. E questi, dal canto loro, non dovrebbero avere il timore di riacquistare il proprio ruolo di educatori in senso lato, sollecitando e pretendendo il giusto riconoscimento della loro (importante) funzione da parte della filiera istituzionale della scuola. E' che, insieme ai ragazzi, le famiglie debbono finalmente essere consapevoli del processo educativo, rispettando i ruoli altrui ma non facendo mancare la propria voce e dimostrando, in una parola, “partecipazione”.
Una cosa è certa, e non è questione di questo o quel governo: la comprensione della gravità dell'emergenza educativa, a cominciare dall'agibilità dell'educazione stessa, è oggi tra i principali problemi del Paese, se non il principale. Non formare, non educare, non istruire, o farlo molto male, significa minare dalle fondamenta il futuro di una Nazione. Aver cominciato a non investire più da decenni, e seriamente, su temi come questi ha portato, nel tempo, alla estrema difficoltà - se non è già degrado - a cui stiamo assistendo.
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«Il sapere è un bene più reale che la potenza, che la ricchezza, perché non è limitato da spazio e da tempo, e va sempre da conquista in conquista sopra le forze naturali» (Cantù, “Attenzione", c. II.)