Franco e Ciccio non leggevano gli Harmony

Giovedì 2 Maggio 2013, 13:26 - Ultimo agg. 19 Marzo, 09:11
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Ci vorrebbero Elio e le Storie Tese, per tutti i luoghi comuni che riescono ad apparecchiare Donato Carrisi e Giuliano Sangiorgi, (presentati per libro «L’ipotesi del male»  e «Lo spacciatore di carne*») chiamati da “La Lettura” a una conversazione che diventa il massimo esempio di fuffa culturale degli ultimi tempi. Lo sfondo è il Salento ovvio, l’incontro «tra una bianca masseria vicino Nardò e un ristorante in riva al mare a Porto Cesareo». Il titolo è «Gli Harmony e il rap hanno cambiato tutto (anche noi due)», la frase chiave: «i generi non esistono, esistono le emozioni». Con affermazioni come «No, io scrivo rock», e non lo dice Mike Jagger ma Donato Carrisi. E si continua col male: «parte oscura che ci affascina perché fa parte della nostra natura», le radici «contano ma è bello dimenticarle nel confronto con gli altri» e si finisce con la libertà «sacrificio enorme, a partire da quella culturale». E, infatti, proprio la libertà è il tema di una divertentissima discussione tra  Fulvio Abbate e Pietrangelo Buttafuoco, smisurata per i tempi che viviamo.

 




*Le sue prime parole senza musica, sono venute male, non che quelle in musica esaltassero, ma ci stavano. Anche se i giornali lo presentano come se fosse Leonard Cohen, Giuliano Sangiorgi, leader dei Negramaro, con “Lo spacciatore di carne” (Einaudi),  si aggiunge solo ai molti cantanti che sono stati chiamati a scrivere tra un disco e l’altro e di cui dimenticheremo presto la prova romanzesca. Il problema per Sangiorgi è la voce, se quella che esibisce sui palchi è accettabile, quella che distende sulle pagine è, al contrario, inaccettabile. Il libro sembra scritto dall’imitazione del cantante, quella di Checco Zalone. Forzatamente racconta di redenzione dal sangue di un padre macellaio da parte di un ragazzo che fugge dal sud al nord: «Volevo scrivere la storia di qualcuno che non fossi io, come Edo, il protagonista, che però ha i miei dubbi e le mie stesse domande».

Alla fine il sangue come metafora è poca cosa, e non perché a scrivere è un cantante, a scrivere è uno che non sa tenere le parti, sarà anche vero che: «scrivere emoziona principalmente me stesso», come dichiara, ma il problema è che non emoziona chi legge.

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