Il crollo

Giovedì 4 Aprile 2013, 17:36 - Ultimo agg. 19 Marzo, 09:09
2 Minuti di Lettura
A leggere le biografie degli scrittori, non quelle terze delle enciclopedie, ma quelle che si scrivono dietro ai libri o nei blog (la letteratura ai tempi di internet) uno può capire tantissimo. Per dire, l’altro giorno incrocio la biografia di Lidia Ravera sul “Fatto Quotidiano”, e per un percorso associativo mi è apparso Albert Chinualumogu Achebe, scrittore nigeriano, e il suo discorso sul mondo occidentale. 
Però, la scrittrice Lidia Ravera è tornata dall’isola di Stromboli dove era in «esilio volontario» per via del regime politico che ha oppresso l’Italia negli ultimi anni (leggo dalla biografia), e ora – a paese liberato – da qualche giorno ricopre la carica di assessore regionale nel Lazio dove andrà «a misurarsi con le tentazioni del privilegio». 
Invece, Achebe, padre della letteratura africana è morto due settimane fa. Lui, che aveva visto la guerra civile nella sua Nigeria, che aveva visto morire amici come il poeta Christopher Ifekandu Okigbo, per il quale scrisse la poesia “Dirge for Okigbo”, e non avendo scritto un libretto come “Porci con le ali” ma “Il crollo” (“Things Fall Apart), il libro più importante della letteratura africana, con una natura bilinguistica che rispecchiava la transizione della sua Nigeria.
Achebe, che aveva tutti i motivi, si limitava ai titoli pubblicati - e non ai giudizi - nella sua biografia.
E, per capire la sua grandezza, oltre il rigore morale e nessuna tentazione di privilegio, nonostante la sua vita, basta ricordare una storia che racconta Philip Gourevitch, del New Yorker: «Nel 1999, durante una celebrazione del centenario della nascita di Ernest Hemingway a Boston, ho avuto l’onore di partecipare insieme ad Achebe a un panel dedicato alla scrittura sull’Africa.
Il suo giudizio sull’Africa di Hemingway – un luogo che non riusciva a riconoscere perché al suo interno gli africani non parlavano – fu sprezzante al pari di quello espresso sull’Africa di Conrad in uno dei suoi saggi più famosi. Al termine della conferenza fu lasciato spazio alle domande del pubblico. Una donna, evidentemente confusa, colse l’occasione per chiedere: “In che senso voi vi definite scrittori sull’Africa?”. Gli altri ospiti – Nadine Gordimer e Kwame Anthony Appiah – erano troppo sconcertati per riuscire a rispondere. Ma non Achebe. Si avvicinò al suo microfono e, molto lentamente e melodiosamente, arrotando le “r” e allungando le “o”, ruggì: “Read. Our. Books” (“Legga. I nostri. Libri”). La donna replicò: “Ma io lo sto chiedendo a lei”. E Achebe ribadì: “Glielo ripeto. Legga. I nostri. Libri”
».  
Ecco, leggete i suoi libri, e se leggete quelli degli altri: controllate le biografie. 
© RIPRODUZIONE RISERVATA