Il nero, l'argento e la banalità

Venerdì 30 Maggio 2014, 13:45
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Nadia Fusini recensisce Paolo Giordano finendo per sembrare una parodia della parodia del grande Riccardo Pazzaglia a “Quelli della notte”. Ecco l’incipit: «Uno scrittore è più di quel che scrive. Oltre il testo, c’è il contesto contro il quale prende corpo la speciale fisionomia del suo atto». E già qui uno comincia a farsi venire qualche dubbio, dopo aver riso, poi avanza non senza imbattersi nella definizione di «scienziato» per Giordano, una iperbole. Ma sorvola. Perché c’è di peggio: «Non è nel contenuto, mai, la chiave di lettura di un romanzo. Ma la trama ha sempre il suo peso». Delle due l’una o il libro “Il nero e l’argento” (Einaudi) ha un contenuto “avulso” come direbbe il miglior Verdone, o la trama recupera verso la fine – cosa che non posso dire perché ho posato il romanzo dopo poche pagine sfinito dalla banalità –, oppure siamo di fronte al primo caso di recensione dissociata: le impressioni avute dalla lettura non corrispondono a quelle raccontare nell’articolo. 
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