Minority report: Villoro

Martedì 16 Aprile 2013, 15:12 - Ultimo agg. 19 Marzo, 09:10
1 Minuto di Lettura
Juan Villoro con Paco Ignacio Taibo II, compone la diarchia che governa il Messico letterario di oggi: entrambi non scrivono solo narrativa ma anche reportage, commenti, uscendo dalla fiction ed entrando prepotenti e con lucidità nella complicatissima e pericolosissima realtà messicana. Taibo II è largamente tradotto in Italia, Villoro per una piccolissima parte (alcuni suoi articoli appaiono su Internazionale). In questi anni il Messico ha fornito una quantità spaventosa di storie e di orrore tutte legate ai narcos, e sempre, Juan Villoro ha raccontato, smontato, analizzato quelle storie: con una precisione, una limpidezza di voce scrittura uniche, tali da renderlo ai miei occhi: imprescindibile (per questo trovo assurdo che tutta la sua opera non sia tradotta ancora in italiano). E per questo trovo assurdo che Roberto Saviano in “ZeroZeroZero” (Feltrinelli) parli di cocaina e di Messico senza passare da Villoro – se fosse andato a casa sua ad intervistarlo tutta la parte sul Messico e i cartelli della droga, avrebbe assunto uno spessore che al libro manca – e proprio questa mancanza rende il racconto di Saviano ancora più sciatto e povero di notizie. Parlare del Messico di oggi senza Villoro (sia fiction che non fiction) è come parlare del Barcellona Futbol club senza Lionel Messi (cito il calcio perché Villoro lo racconta e – claro – molto bene). Aspettando che le case editrici, con Saviano e senza, scoprano la grandezza di uno scrittore come Juan Villoro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA