Pensare con i piedi

Venerdì 21 Marzo 2014, 15:02 - Ultimo agg. 19 Marzo, 09:25
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Tutta colpa di Bruce Grobbelaar, il portiere del Liverpool, dei suoi riti scaramantici, delle sue danze assurde, che incantarono Bruno Conti e Ciccio Graziani. Se la Roma di Nils Liedholm non avesse perso quella finale di Coppa Campioni, gli anni ottanta italiani sarebbero stati diversi: avremmo un Antonello Venditti vecchio e non imbalsamato, un Verdone ancora comico e ci saremmo risparmiati una serie di film e romanzi inutili, come quello appena uscito di Giovanni Floris “Il confine di Bonetti” (Feltrinelli), una opera prima esile, priva di lingua, con una idea non originale, dei dialoghi da fiction-Rai e soprattutto con degli espedienti veltroniani (il gioco dell’elenco, i pantheon, gli altarini) che poi è preso da Tom Waits che dribbla Montalban, Ligabue che passa a Veronesi che cita Onofri che ricordi Riccarelli, Pacman, il muro di Berlino, Reagan che mette in mezzo dove c’è Piccolo e Berlinguer e torniamo a Grobbelaar, dimenticando che potevamo anche spiazzarlo e segnare, come fece Di Bartolomei. 
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