Gli americani scoprirono Napoli

Lunedì 20 Aprile 2015, 16:55 - Ultimo agg. 17 Febbraio, 09:50
2 Minuti di Lettura
Gli americani scoprirono Napoli ben prima della seconda guerra mondiale, quando ci fu l'apoteosi degli sciuscià e delle segnorine. Scoprirono Napoli e l'Europa, scoprirono Napoli come simbolo dell'intera Europa: Napoli grande capitale di nobili e lazzaroni. Erano gli ultimi arrivati nel club del Grand Tour, ma calarono sul tavolo assi come James Fenimore Cooper e Herman Melville. E, a seguire, Mark Twain. Era l'Ottocento ed erano pionieri, portatori di sguardi vergini prontamente contagiati. Ma nonostante la loro grandezza di scrittori restavano degli ingenui, capaci di stupirsi di fronte a una città d'oro e di stracci, di una metropoli che sembrava evocare quello che sarebbero diventate rapidamente e più pesantemente New York e Chicago. «AmericaNa», la carrellata che Pier Luigi Razzano ha realizzato per Intra Moenia, mette in fila una nutrita e sapida fetta di maestri statunintensi, antologizzata fino a Gore Vidal. E offre una silloge di stupori che da Napoli si allarga a una parte della Campania: la Pompei di Twain, la Capri di Henry James e di Francis Scott Fitzgerald, la Paestum di John Dos Passos, l'Ischia di Truman Capote, la Positano di John Steinbeck, la Ravello di Gore Vidal. E poi John Fante, calato a Napoli per realizzare un film che non fu mai girato, e John Cheever, stordito in un'atmosfera che preludeva alle mani sulla città. Razzano ha costruito un abile racconto di racconti, ma pure di impressioni rapide che poi, in molti casi, sono rifluite pari pari o trasfigurate in romanzi o in opere maggiori. Non stupisce lo stupore, soprattutto degli autori più recenti. I grandi affabulatori del Nuovo Mondo escono storditi dall'impatto con la punta più sfacciata del grande iceberg del Vecchio Continente, decandente e vitale nel medesimo tempo. Sono vittime di un mal di Napoli come poi toccò agli ufficiali e ai generali americani della «Pelle» di Curzio Malaparte. Ritrovarono una libertà perduta o forse nemmeno mai immaginata e una luce (fisica, metafisica e metaforica) accecante: un riflettore che mostrò strade inesplorate. Era la terra delle Sirene dove, per usare le parole di Henry James (il più europeo degli americani), «il presente sembra diventare ancora una volta realmente classico». Lontani da brame turistiche, attenti al dettaglio, alla sfumatura, pure quando appaiono svagati, sono sempre a infilzare con una farfalla l’immagine decisiva nelle pagine del taccuino. E conservarono gelosamente un sentimento sfuggente, ma incancellabile. Era, come sintetizza, giocosamente disgustato, l’italo-americano Fante, «l’odore di centinaia di milioni di persone che sono state qui e se ne sono andate». Portarono con sé, sempre qualcosa che la svelta antologia di Razzano ci restituisce.
© RIPRODUZIONE RISERVATA