I falsi diavoli di Goethe

Mercoledì 14 Marzo 2012, 14:37
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Napoli va presa con filologia, non solo con filosofia. La scienza umanistica che analizza i testi per ricostruirne criticamente la forma originaria (giusto per dirla facile) viene utile per emendarci da una leggenda letteraria, totalmente falsa e continuamente ripetuta, trita e ritrita, tanto da farne un paradigma che nessuno mette più in discussione. Del resto, era il ministro della Propaganda nazista Joseph Goebbels, a teorizzare che una menzogna ripetuta un milione di volte diventa una verità. In questo caso, parleremo di minuzie,  ma pur sempre moleste. Si tratta della definizione di Napoli come «paradiso abitato da diavoli» attribuita costantemente a Goethe. Per dar valore a questa assegnazione, tra l'altro, si cita, sempre e di rigore, il saggio di Benedetto Croce che porta il medesimo titolo (l'ha ripubblicato qualche anno fa Adelphi, con la curatela di Giuseppe Galasso). Ebbene tutti coloro che per dare forza alla loro attribuzione citano Croce dimostrano di non aver letto né Croce né Goethe. Perché è proprio il filosofo (filologo, storico, critico e politico) a spiegare che il marchio di «paradiso diabolico» l'hanno coniato altri e che Goethe non c'entra un fico secco. Semmai, come sa chi s'è goduto di prima mano le pagine dell'immenso tedesco, in molte parti del suo straordinario «Viaggio in Italia» i napoletani sono descritti con tutt'altro spirito: gente laboriosa che si dava da fare in tutti i modi per mettere qualcosa sotto i denti. La perfetta e potente immagine celestialmente infernale è, nella sua originaria definizione, di Bernardino Daniello, commentatore cinquecentesco di Dante («questo paradiso ad habitare a diavoli»), e prenderebbe spunto addirittura da una delle «Facezie» del Piovano Arlotto, sacerdote burlone e boccaccesco del Quattrocento toscano. In molti, tra XVII  e XVIII secolo, l'hanno ripetuta e riciclata. Ha preso così tanto piede che ancora oggi ce la palleggiamo. Ma per favore lasciate stare Goethe e non metteteci in Croce.
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