L'analfabetismo di andata della scuola italiana

Lunedì 15 Settembre 2014, 08:50
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Nel giorno in cui i ragazzi tornano tra i banchi di scuola bisognerebbe limitarsi alle frasi di rito. In bocca al lupo, ragazzi, buon anno. Belle parole, formali. Altrimenti di rischia di mettere i piedi nel piatto e si finisce per cadere nella banalità del piagnisteo. Ma è un rischio che va corso.

Il disastro (perché è un disastro) della scuola italiana è il dramma più avvilente del disastro del Paese. Perché? Perché colpisce il nostro futuro e distrugge le coscienze di quanto abbiamo di più prezioso nella vita: i nostri figli.

Da decenni scriviamo e leggiamo dei microscopici investimenti nell'edilizia scolastica, nella ricerca, nella formazione degli insegnanti, scriviamo e leggiamo della precarizzazione dei docenti e della leggerezza delle loro buste-paga. Sono decenni che ci si accapiglia su un dilemma nevralgico: il rapporto tra scuola pubblica e privata. Un nodo, certo. Ma non è la chiave dell'acqua.

Intanto, assomando riforme sballate a riforme sballate e aspettando la grande Riforma come se fosse il Godot di Beckett, la nostra scuola è sprofondata in un abisso che la vede quasi sempre in coda alle classifiche di rendimento dei paesi industrilazzati. Sono lamenti già sentiti, lo ripeto e li ripeto. Ma sono dei macigni che non riusciamo (e forse in tanti non vogliono) spostare.

C'è stata, invece, la completa abdicazione della scuola al proprio ruolo: la trasmissione del valore del sapere, del sapere in sé, come strumento di crescita personale e sociale. Non mi riferisco alla nozione spicciola, la data, il nome, il verso, la regola algebrica, la formula chimica, ma al metodo dell'apprendimento e alla necessità di apprendere per migliorare.

Lasciamo perdere gli aneddoti sulle ciucciarie e sui comportamenti maniaci della fragile socializzazione dei nostri ragazzi, mettiamo tra parentesi pure i risultati della mancata trasmissione della grammatica elementare della convivenza civile. Ne vediamo e ne sentiamo anche troppe. Il punto è che negli ultimi trent'anni i governi non hanno investito nella scuola, ma nella scuola non hanno investito neanche i suoi attori principali: gli insegnanti. Sono invecchiati e stanno annegando nella disillusione, anche se in tanti continuano a lottare contro i mulini a vento. Purtroppo, i migliori abdicano di anno in anno. Dopo aver tirato sassi ora tirano a campare. Poi c'è la palude dei docenti impiegati o notai che trascinano i libri di testo di classe in classe come fardelli pieni di fole, incapaci di comunicare, di creare curiostà ed empatia, e quindi inutili nella trasmissione della conoscenza.

Il risultato lo conosciamo. Al netto delle sempre più ridotte eccellenze, gli studenti italiani non solo non sanno, ma non sanno neanche di non sapere. Stiamo formando generazioni di analfabeti di andata che non ritornano da nessuna terra della cultura perché, come molti insegnanti e governanti, in quella terra non ci sono mai stati.
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