Pietro Treccagnoli
L'Arcinapoletano
di

La leggenda
del caffè sospeso

La leggenda del caffè sospeso
di Pietro Treccagnoli
Domenica 17 Gennaio 2016, 13:34 - Ultimo agg. 18 Gennaio, 12:59
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Chi ha mai usufruito di un caffè sospeso? Chi ha mai lasciato un caffè sospeso? Chi ha mai visto un cliente chiedere al barista se ci fosse un caffè sospeso? Io, mai. Eppure di bar ne giro, di caffè al banco ne bevo, da buon napoletano, dovunque capita e in diverse ore del giorno. Mai visto e mai sentito, ma letto, straletto. A me sembra, quindi, tutta una chiacchiera, una leggenda che da qualche anno è diventata marketing allargata anche ad altri generi. Eppure per me resta non pervenuto.

Si è sempre sostenuto che fosse un'antica tradizione cittadina e che andava rinverdita. A suo tempo ne hanno parlato con abbondanza di filosofia spicciola sia Riccardo Pazzaglia e sia Luciano De Crescenzo, fini umoristi. A loro, molto più fortunati, anche se residenti a Roma per buona parte della loro vita, sarà capitato di sicuro. A me, ripeto, mai. Mai ho usufruito di un caffè sospeso, mai ho lasciato un caffè sospeso, mai ho sentito chiedere se ci fosse un caffè sospeso. Ho sempre avuto l'impressione che fosse un modo per far guadagnare il barista che incassa il doppio per ogni caffè. Tanto chi lo controllava. Qualche accorsatissimo bar, a suo tempo, per uscire dall'equivoco, ha predisposto un recipiente, accanto alla cassa, dove il benefattore può depositare lo scontrino del sospeso. Sarò stato sfortunato, ma tutte le volte che ho sbirciato dentro l'ho sempre visto desolatamente vuoto. Marketing, pubblicità a buon mercato. Niente di male, niente di cui scandalizzarsi, ma non buttiamola sempre in oleografia.

Esiste un'altra tradizione, invece, più domestica, ed è quella di lasciare pagato un caffè per un amico ben preciso. Lo si paga e si avverte il barista di fiducia (che conosce entrambi) di offrirlo a una specifica persona. E' un atto di gentilezza o un modo per dissobbligarsi. Niente a che vedere con l'omaggio caritatevole a uno sconosciuto.

Eppure la leggenda è tenace e da tempo ha varcato persino i confini locali. Non so se altrove è praticato, perché mai mi sognerei a Madrid, a Parigi o dovunque sia di chiedere al barista se c'è un caffè sospeso di cui beneficiare. Ma la diceria miete successi pubblicistici perché si addice all'idea che si ha di Napoli, alla percezione stereotipata dei costumi aristocratico-plebei, caritatevoli-edonistici di una città sempre pronta alla solidarietà quando si tratta di un caffè, ma incapace di concentrarsi sull'essenziale, e spietata o distratta in campi ben più decisivi.

Questa sospensione, correggendola di senso, è anche una metafora dello stato di Napoli, della sua condizione culturale. Siamo sempre tra color che son sospesi, in un limbo di buoni sentimenti degni di miglior causa, dei bambini insomma, immaturi e generosi. Più che lasciare in sospeso un caffè per scaricarci la coscienza, come una dolce e profumata elemosina, proviamo a non lasciare più in sospeso nulla di quanto è necessario per fare di Napoli la grande città che merita di essere.
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